IL RECLAMO GIURISDIZIONALE NEL QUADRO DELLE GARANZIE PER I DETENUTI SITTOPOSTI AL REGIME DETENTIVO SPECIALE EX ART. 41-BIS CO. 2° O.P.

SOMMARIO: 1) Premessa, origine ed evoluzione della norma dal punto di vista della tutela giurisdizionale – 2) La riforma del 2009 e i rilievi avanzati dalla dottrina – 3) Le prescrizioni “gestite” dall’Amministrazione; la circolare DAP 2/10/2017 n. 3676/616

1.Contenuto del focus è la giurisprudenza in ordine alle decisioni sui reclami presentati, ex art. 35-bis o.p., dai detenuti sottoposti al regime detentivo speciale, di cui all’art. 41-bis co. 2 o.p. (il cd. “carcere duro”). Si tratta di un sistema di garanzie che si presenta come caratterizzato da ampi margini di discrezionalità, soprattutto a seguito della riforma operata nel 2009, in relazione alla quale non a caso la dottrina più avveduta ebbe a evidenziare fin da subito numerose criticità, che si facevano risalire, in primis, all’eliminazione del riferimento al sindacato da parte dell’autorità giudiziaria sulla congruità dei contenuti del provvedimento applicativo (in precedenza espressamente riconosciuto, invece, al tribunale di sorveglianza, unitamente alla verifica dei presupposti applicativi). E’ diffusamente avvertita, dunque, la necessità di raccogliere e di catalogare la copiosa giurisprudenza – anche di merito – che nel corso di questi anni è venuta stratificandosi nella materia de qua, con lo scopo di ricostruire lo “stato dell’arte” di una disciplina dai contorni sfumati e i cui confini sono continuamente riscritti dalla magistratura di sorveglianza.

In origine, il legislatore non aveva previsto – come è noto – alcuna forma di tutela giurisdizionale avverso i decreti ministeriali che applicavano il regime speciale di rigore. Ben presto sorsero, però,  dubbi di legittimità costituzionale, che furono risolti dalla Corte Costituzionale con una sequenza di pronunce, a partire dalla sentenza n. 349 del 1993. In quella decisione il Giudice delle leggi si preoccupò anzitutto di affermare la sindacabilità dei provvedimenti in questione da parte del giudice “ordinario”, in quanto incisivi sulle posizioni soggettive dei destinatari. A individuare, poi, l’organo legittimato a sindacare il provvedimento fu la sentenza n. 410/1993, con cui la Consulta ebbe a indicare come competente – sulla falsariga del sistema di garanzia dei detenuti sottoposti a regime speciale di rigore individuato dall’art. 14-ter o.p. –il tribunale di sorveglianza. A quest’ultimo – come chiarito infine con un’ulteriore e successiva decisione (sent. n. 351/1996) – veniva riconosciuto espressamente il potere di sindacare non solo la sussistenza dei presupposti del provvedimento applicativo, ma anche la congruità dei suoi contenuti rispetto ai fini propri del regime detentivo speciale in questione 1

Il legislatore ha inteso, poi, recepire queste indicazioni della Corte: dapprima nel 1998, con l’art 4 l. 11 gennaio 1998 n. , introducendo il co. 2-bis, che individuò la competenza territoriale del tribunale di sorveglianza – sulla scorta della regola generale di cui all’art. 677 c.p.p – nel locus custodiae. In seguito, la l. 279/2002 attribuì espressamente al tribunale di sorveglianza il potere di sindacare sia la sussistenza dei presupposti applicativi, sia la congruità dei contenuti del regime rispetto ai fini (2). Occorre menzionare inoltre – e per quanto maggiormente interessa in questa sede – l’introduzione di una specifica previsione con cui veniva regolato il contenuto del provvedimento applicativo: erano tipizzate alcune prescrizioni e, al tempo stesso, veniva espressamente riservato un certo margine di discrezionalità alla Amministrazione (co. 2-quater: la sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 2 può prevedere: a) l’adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna…). In entrambi i casi, peraltro, era assicurato il sindacato del tribunale di sorveglianza sulla congruità delle restrizioni (3).

2.La disciplina ebbe però a mutare nel 2009, con la legge n. 94: da un lato, venne novellato il co. 2-sexies, spogliando il tribunale di sorveglianza del sindacato sulla congruità del contenuto del provvedimento e mantenendo soltanto quello relativo alla “sussistenza dei presupposti”; dall’altro, fu modificato il co. 2-quater, con l’intento dichiarato di rendere tassativa l’elencazione delle prescrizioni restrittive che caratterizzano il regime speciale (fu sostituita, infatti, la dicitura “può prevedere” con “prevede”). E, anzi, fu questo secondo intervento a essere assunto a giustificazione dell’eliminazione del sindacato del tribunale di sorveglianza sulla congruità, dal momento che era la legge (e solo la legge) a stabilire il contenuto del provvedimento. A questo punto, dunque, l’unica via per sindacare il contenuto del provvedimento avrebbe dovuto passare attraverso la sollevazione di una questione di legittimità costituzionale (4).

La dottrina ebbe a scorgere ben presto, però, in questa previsione un evidente vuoto di tutela (5), dal momento che lo spazio rimesso alla discrezionalità amministrativa circa la determinazione di ulteriori prescrizioni, accanto a quelle tipizzate per legge, rimaneva intatto (essendo stata riprodotta alla lett. a) la clausola che compariva nella precedente “versione” ). Questo ebbe a condurre alla proposizione di una questione di legittimità costituzionale, che fu decisa con la sentenza n. 190/2010. La Corte non ritenne, però, fondata la questione, sottolineando come – coerentemente alle intenzioni del legislatore – la forte riduzione della discrezionalità ministeriale nella individuazione delle misure conseguenti alla sospensione del trattamento ordinario giustificasse la scomparsa del riferimento testuale al controllo sulla congruità dei mezzi rispetto ai fini. Tutto ciò, peraltro, non si sarebbe tradotto – a parere della Corte – in un inammissibile vuoto di tutela, perché, anche alla luce della nuova disciplina, non avrebbe potuto ritenersi eliminato il controllo di legittimità sul contenuto dell’atto, ancorché circoscritto all’eventuale violazione di diritti soggettivi del detenuto.

 

  1. Oggi, il procedimento di reclamo – a seguito dell’introduzione dell’art. 35-bis o.p. e della riscrittura del 6° co. dell’art. 69 o.p. – può essere attivato, come è noto, in presenza di un “attuale e grave pregiudizio” che consegua all’inosservanza da parte dell’Amministrazione di “disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento”; e la decisione spetta al magistrato di sorveglianza territorialmente competente. (6)

Nonostante ciò, non si può certo essere del tutto soddisfatti di un tale assetto, che, anzi, fa sorgere più di un dubbio circa l’esaustività della tutela giurisdizionale offerta nei confronti dei soggetti sottoposti al c.d. carcere duro. Invero, potrebbe capitare che, pur non trovandoci in presenza di un “attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti del detenuto”, la posizione giuridica soggettiva appaia comunque indebitamente compressa, traducendosi nei fatti l’applicazione della singola prescrizione del regime speciale in una mera afflizione, rispetto alla quale, peraltro, si prospetta un vero e proprio vuoto di garanzie.

A questo proposito merita rilevare subito come l’Amministrazione penitenziaria abbia deciso di regolare minuziosamente la vita quotidiana dei detenuti sottoposti al 41-bis per mezzo di circolari, in modo da dare applicazione concreta alle prescrizioni minuziosamente elencate nel citato co. 2-quater, nell’intento di contemperare la necessità di dare concreta attuazione alle esigenze di sicurezza pubblica cui è orientato il regime speciale con la volontà di evitare ulteriori limitazioni che possano configurarsi come mere afflizioni del tutto gratuite e soprattutto ‘incongrue’ rispetto a questa finalità. Ma, è proprio sotto questo secondo profilo che sorgono le maggiori perplessità. Invero, nonostante i buoni propositi, evidenziati anche nella parte argomentativa del più recente documento che il Dap ha elaborato in materia (la circolare n. 3676 del 2/10/2017 (7)), dove viene ribadita l’adesione a un’interpretazione rigorosamente conforme alla ratio del regime speciale, talune misure si presentano, al contrario, come <<gratuitamente afflittive e difficilmente riconducibili agli scopi di prevenzione propri del regime detentivo speciale>> (8). Si tratta, invero, di misure che, per un verso, sembrano limitarsi a dare concreta attuazione alle principali restrizioni fissate direttamente dalla legge e, per l’altro, vanno a occupare quello spazio che residua al di là del contenuto tipizzato nelle lettere da b) a f) del co.2-sexies. Viene così a prospettarsi come estremamente sottile il confine che intercorre tra la mera messa in opera delle prescrizioni legislative e la creazione di ulteriori restrizioni: un confine che è completamente rimesso alla discrezionalità amministrativa. La sensazione, esaminando la circolare, è che siffatte restrizioni, talvolta, si fondino su argomentazioni senz’altro condivisibili alla luce della ratio sottesa all’art. 41-bis co.2° e degli scopi che l’istituto ivi regolato persegue, ma, talaltra, risultiono già a prima lettura ‘incongrue’ e gratuitamente afflittive.

Al di là di tutto, quella che dovrebbe essere la corretta interpretazione della disciplina in esame ci pare essere stata di recente fornita dalla Corte costituzionale (sent. n. 18/2022), la quale, invero, ha sottolineato come le restrizioni che contraddistinguono questo regime devono essere concepite e attuate nella loro concreta applicazione come volte, non già ad assicurare un surplus di punizione per gli autori di reati di speciale gravità, bensì esclusivamente a contenere la persistente pericolosità di singoli detenuti, in quanto finalizzate, per l’appunto, a recidere i legami con l’organizzazione criminale di riferimento. Le misure che lo caratterizzano rispetto al regime ordinario, quindi, saranno legittime – prosegue la Corte nella richiamata sentenza – soltanto in quanto appaiano, da un lato, funzionali rispetto alla peculiare finalità del regime di speciale gravità (…) e, dall’altro, non risultino sproporzionate, in quanto eccessive rispetto a tale scopo legittimo, e irragionevolmente gravose rispetto ai diritti fondamentali di cui restano titolari anche le persone sottoposte al regime differenziato di cui all’art. 41-bis o.p., ovvero siano tali da vanificare del tutto la funzione rieducativa della pena; o ancora si risolvano, addirittura, in trattamenti contrari al senso di umanità.(9)

Con questo focus ci si propone, dunque, di aprire una finestra, la più ampia possibile, sulla giurisprudenza che in questi anni è venuta copiosamente formandosi nella materia de qua, al fine di valutare se la conformità delle condizioni detentive dei sottoposti al carcere duro alla ratio dell’istituto – così come efficacemente ricostruita dalla Corte costituzionale – trovi effettivamente riscontro nelle decisioni della magistratura tanto di merito che di legittimità.

 

 

  • DELLA BELLA in Il ‘carcere duro’, tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, Milano, 2016, pp. 126 ss.
  • DELLA BELLA in Il ‘carcere duro’, tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, cit., pp. 139 ss.
  • DELLA BELLA, I reclami ex art. 35-bis o.p. avverso le prescrizioni del regime detentivo speciale, cit., p. 324.
  • DELLA BELLA, I reclami ex art. 35-bis o.p. avverso le prescrizioni del regime detentivo speciale, cit., p. 325.
  • DELLA BELLA in Il ‘carcere duro’, tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, cit., pp. 300 ss
  • Circolare DAP 3676/616 del 2/10/2017
  • Per una più ampia disamina delle prescrizioni contenute nella circolare suddetta, vedi: V. MANCA, Il Dap riorganizza il 41-bis o.p.: un difficile bilanciamento tra prevenzione speciale, omogeneità di trattamento e umanità della pena – Brevi note a margine della circolare DAP n. 3676/616 del 2 ottobre 2017, 6/11/2017, in https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/
  • Come già ribadito dalla Consulta nelle recenti sentt. 97/2020, 197/2021, 186/2018

 

 

 

 

  1. GIANFILIPPI – L. LUPÀRIA, Organizzazione penitenziaria, ordine e sicurezza, in Manuale di diritto penitenziario, a cura di F. Della Casa e G. Giostra, Torino, , 2020, pp. 151 ss.; ed anche: A. DELLA BELLA, I reclami ex art. 35-bis o.p. avverso le prescrizioni del regime detentivo speciale, in AA.VV., La tutela preventiva e compensativa per i diritti dei detenuti a cura di F. FIORENTIN, Torino, 2019, pp. 323 ss..