10 Ottobre 2024

Un dialogo tra vittima e autore del reato. Oltre il castigo – recensione a Giovanni Fiandaca, PUNIZIONE, Il Mulino editore, 2024

A cura di Dott.ssa Chiara Rossi (Università di Pisa)

Giovanni Fiandaca, professore emerito di Diritto Penale presso l’Università di Palermo, ha dedicato il Suo volume a un tema plurisecolare, su cui molti si sono espressi, ma che rimane per certi versi irrisolto. L’idea da cui muove il libro è legata <<all’esigenza di rinnovata riflessione>> che l’Autore ha avvertito <<sull’utilità delle sanzioni punitive>> (pag. 16). Infatti, in qualità di Garante dei diritti dei Detenuti il professor Fiandaca ha potuto avvicinarsi al mondo dell’esecuzione della pena, in particolare quella detentiva, e ha avuto contezza della <<drammatica condizione dell’universo penitenziario>> (pag. 15) e, soprattutto, delle cause che determinano <<un divario incolmabile tra la pena detentiva nella sua astratta configurazione costituzionale e la pena detentiva come viene di fatto per lo più eseguita>> (pag. 15-16).

L’Autore, riflettendo sul significato e il senso della punizione, presenta le diverse teorie filosofiche (e non solo) sviluppatesi nel corso dei secoli su questo argomento. Sin dall’antichità, intorno al concetto di pena si sono delineate due visioni contrapposte. In primo luogo viene in considerazione la teoria retributiva che, seguendo la logica della lex talionis, giustifica la necessità di reagire nei confronti dell’offensore per aver commesso un fatto illecito. Accanto a questo indirizzo si è posto anche un filone di pensiero che, proiettandosi verso il futuro, attribuisce alla pena una funzione preventiva rispetto alla commissione di ulteriori e futuri reati. Tale concetto può essere meglio illustrato prendendo in prestito le parole di Platone (che vengono riportate a pag. 21): “chi voglia saggiamente punire (…) punisce pensando all’avvenire e perchè la stessa persona non commetta di nuovo un’ingiustizia e perchè non lo facciano altri, dopo aver visto che quella è stata punita”.

Bisogna, tuttavia, riconoscere che la pena è caratterizzata da polifunzionalità, per questo motivo non è semplice distinguere nettamente tra le teorie retribuzioniste e le teorie consequenzialiste (<<delle quali costituisce esemplificazione pragmatica la teoria della prevenzione>>). Di quanto appena affermato ne è testimonianza un dialogo tra Daniel Dennet e Gregg Caruso 1: il primo non si considera un retribuzionista, come invece obietta Caruso, sebbene ritenga che possa essere giustificato infliggere una sanzione all’autore di un fatto illecito all’interno di una società che non consideri << i propri membri agenti moralmente responsabili perchè capaci di autocontrollo sui propri comportamenti>> (pag. 34) a prescindere che la risposta punitiva possa avere effetto deterrente o riabilitativo; al contrario egli ritiene di dare una spiegazione consequenzialista sostenendo che l’inflizione della sanzione contribuisce al mantenimento del rispetto delle leggi da parte dei consociati che è un presupposto essenziale per <<una vita sociale relativamente ordinata, sicura e protetta>> (pag. 35). Caruso, ponendosi in una posizione opposta, dubita circa le effettive capacità degli individui di controllare le proprie azioni, di conseguenza contrasta la punizione in ogni sua accezione e auspica la sostituzione della tradizionale giustizia penale con un modello che lui stesso definisce come quarantena della salute pubblica, quindi, <<non più pene, ma misure di controllo per le persone pericolose per la sicurezza pubblica, finalizzate a scopi di riabilitazione e reintegrazione sociale>> (pag. 36).

L’Autore è convinto che il pensiero di Caruso sia interessante ai fini della <<contestazione della logica punitiva e la conseguente prospettazione dell’esigenza di concepire e progettare modelli non punitivi di risposta ai fatti socialmente dannosi>> e introduce, così, la posizione di Giorgio Del Vecchio (pag. 38) 2, che mostrò una preferenza per il modello della riparazione, di Gustav Radbruch (pag. 39)3 che sperava che l’evoluzione del diritto penale desse luogo a un “diritto dell’emenda e della prevenzione” e di Martha Nussbaum4 il cui pensiero merita di essere riportato per intero: “in realtà io sono incline a pensare che la cosa più razionale sia rifiutare del tutto e per parecchi anni l’uso del termine pena, visto che restringe la mente, inducendo a pensare che il solo modo per riportarsi al crimine sia qualche guaio, come dice Bentham, inflitto al reo. La questione che ci sta di fronte è come affrontare l’intero problema degli atti delittuosi, non come punire le persone che ne hanno commesso uno. La pena (…) deve cedere il passo nella nostra attenzione ad altre strategie per la soluzione del problema, e quindi il dibattito (…) dovrebbe in realtà vertere sulle misure che la società può utilizzare ex ante (e in certi casi ex post) per ridurre i reati”. (pag. 40)

L’entrata in crisi della teoria retribuzionista fa porre agli studiosi l’attenzione alla formula utilizzata dal legislatore costituzionale laddove ha stabilito che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Una statuizione chiara, ma allo stesso tempo generica, <<quasi un concetto fai da te>> da riempire di contenuto (pag. 92). La finalità rieducativa della pena ha conosciuto una svolta con la giurisprudenza della Corte costituzionale che, elevandola a fine primario della pena, anche se non esclusiva, le ha attribuito un ruolo primario in ogni fase del procedimento, a partire dalla sua previsione legislativa, fino a quel momento confinata al momento esecutivo. Nonostante quanto appena affermato, l’Autore informa il lettore del fatto che <<la prospettiva della rieducazione non ha mai ricoperto nella prassi una posizione preminente all’infuori dei ristretti ambiti della magistratura di sorveglianza e del personale a vario titolo addetto ai percorsi trattamentali. Mentre nel contesto politico culturale esterno e negli orientamenti della pubblica opinione l’ideale rieducativo tende perlopiù a ricevere adesioni retoriche o di facciata, a fronte di un tendenziale predominio di pulsioni retributive ed istanze di prevenzione generale>> (pag. 90).

Bisogna, a questo punto, chiedersi quali siano le modalità attraverso cui la pena viene eseguita. Indubbiamente, nel mondo dell’esecuzione il ruolo di protagonista assoluto lo assume il carcere. Tuttavia, visto il fallimento di questo strumento punitivo, come dimostrano le statistiche 5, perchè non concentrare l’attenzione su paradigmi diversi di giustizia (oltre alle misure alternative)? Si giunge, così, a trattare della giustizia riparativa. Questo modello si differenzia nettamente dalla giustizia punitiva perchè consente, tendenzialmente, di spostare il focus dall’autore del reato verso la vittima del reato: si restituisce la voce alla persona offesa e si crea un collegamento con il reo. Si crea un binomio particolare punizione-riparazione che fa sorgere alcuni dubbi, infatti, Giovanni Fiandaca dietro la giustizia riparativa scorge una visione pacifica della società e <<di ispirazione umanista>> (pag. 150) e, per questo motivo, si domanda se un modello di questo tipo possa essere compatibile con il principio di rieducazione della pena improntato a canoni di laicità. Tali perplessità, tuttavia, non sono sufficienti ad inibire la forza di questo istituto.

Giovanni Fiandaca, con il Suo volume, è riuscito a pieno nell’intento di astenersi dallo <<scrivere una sorta di piccolo testo universitario>> (pag. 72) e ha dato vita ad un libro denso di riflessioni che riuscirà a stimolare il senso critico del lettore. L’”uomo comune” è abituato ad associare l’afflittività alla sanzione; il soggetto che ha commesso il fatto è considerato solo come l’autore del reato, che è da biasimare perchè con le sue azioni ha provocato sofferenza, senza pensare, però, al fatto che dietro a quell’autore di reato vi è una persona. Non significa, questo, che non si debba reagire alla commissione di un illecito, ma si intende rendere note altre strade da percorrere che non attribuiscono alla punizione una valenza vendicativa, ma che consentono di far avvicinare la Persona dell’autore del reato alla Persona della vittima, nella convinzione che il dialogo tra queste due parti contrapposte possa realizzare meglio il fine di cui all’art. 27 comma 3 della nostra Costituzione, posto che il carcere, a causa di varie problematiche, illustrate dell’Autore, (pag. 103 ss.), non risulta essere il luogo migliore per rieducare e risocializzare il reo. 6

Per quanto possa sembrare strano al quisque de populo, è proprio la vittima del reato che, in certe occasioni, sente il bisogno di trovare un’alternativa alla giustizia tradizionale. Per spiegare ancora meglio questo aspetto l’Autore riporta un episodio della propria esperienza personale dove dà conto della <<inidoneità della condanna e della pena inflitte al colpevole a fungere come mezzo di elaborazione duratura del lutto per chi patisce (anche indirettamente) le irreparabili conseguenze del reato>> (pag. 131). La vittima del reato se sceglie di intraprendere un percorso di giustizia riparativa è perchè a un certo punto sente il bisogno di perdonare e, così, ha la possibilità di incontrare e dialogare con l’autore del reato “che ha subito” o l’autore di un altro reato (più o meno affine) per cercare di trovare un senso di appagamento che dall’esecuzione della penale tradizionale, cui il reo è stato sottoposto, non ha trovato. Guardando, invece, all’altra faccia della medaglia, quindi, all’autore del reato, ci sono testimonianze che attestano la riuscita di questo paradigma di giustizia. Da questo punto di vista, quindi, la giustizia riparativa è capace di risocializzare il reo e di reinserirlo nel tessuto sociale. La conferma di questo si ha nel momento in cui un soggetto come Franco Bonisoli dice “ho fatto la scelta della violenza pensando di creare un mondo migliore (…), oggi rifiuto decisamente la violenza per pensare a fare un mondo migliore”. 7

Allo stesso tempo, bisogna però ammettere che, purtroppo, la giustizia ripartiva non ha ancora assunto uno spazio di autonomia tale da poterla considerare uno strumento alternativo rispetto alla giustizia convenzionale. Si va a creare una convivenza tra i due paradigmi di giustizia che fa storcere il naso dal momento che << la riparazione non si combina con la punizione (…) perché intende essere (…) una reazione al reato priva di significato ed effetti punitivi>> (pag. 139). 8 La stessa riforma Cartabia, come ci dice l’Autore, ha introdotto la giustizia riparativa in termini di complementarità rispetto alla giustizia tradizionale e sebbene abbia comportato effetti dirompenti nei confronti della vittima di reato, altrettanto non può dirsi per l’autore del reato che <<potrà beneficiare più di una mitigazione del trattamento punitivo (…) che non di una completa impunità>> (tranne qualche eccezione marginale) (pag. 151-152), e che potrebbe essere non del tutto incentivato ad intraprendere spontaneamente un percorso in tal senso. 

Per concludere, è possibile ritenere che finora non si sono realizzate vere innovazioni o <<rivoluzioni>> (pag. 71) rispetto alle modalità di concepire ed illustrare il significato della pena. Un potenziamento della giustizia riparativa consentirebbe un passo in avanti e rappresenterebbe un tentativo (riadattando il pensiero di Radbruch) di creare un diritto penale che sia ancora meglio del diritto penale stesso.

I manuali scientifici contengono varie nozioni sulla giustizia riparativa, tuttavia appare più opportuno riportare le parole di Agnese Moro che ne offre una descrizione chiara, non rinvenibile in alcun volume o testo normativo: “(…) Ma la cosa che mi ha colpito più di tutte è entrare in contatto con il loro dolore. Per me il dolore è il mio, invece, c’è un dolore terribile nel fatto di aver compiuto qualcosa di irreparabile e tu lo hai fatto perchè amavi i poveri, perchè non volevi che ci fossero diseguaglianze, per delle cose buone, però all’atto pratico quello che hai fatto è lasciare per terra i corpi di persone che non ritornano, e quelle persone non erano quelle che tu pensavi che fossero: delle divise, dei simboli, delle funzioni, erano delle persone. Mentre io ti guardo e vedo il tuo dolore, tu mi guardi e improvvisamente mio padre non è più una funzione dello stato, mio padre è mio padre (…) e questo cambia qualche cosa, perchè tu non ti senti più di aver compiuto un reato solamente, che hai scontato, tu hai una responsabilità nei confronti di persone che hai ferito in maniera molto molto grave. Questo tornare ad essere delle persone è una delle cose importanti della giustizia riparativa, perchè loro sono dei reati che camminano (…) e io sono la vittima. Invece, se condividiamo dei sentimenti, piano piano torniamo ad essere delle persone, perchè appena tu disumanizzi quell’altro e gli dici che è un mostro e lui disumanizza te, dicendo che sei una vittima, tu scompari come persona. Appena tu ritorni ad essere Agnese e tu ritorni ad essere Franco, allora torni ad essere una persona e ci torno anche io perchè si ritorna soltanto insieme. Questa è una delle cose importanti della giustizia riparativa: o tornano tutti o non torna nessuno”. 9

Note

  1. Il riferimento è a Daniel C. Dennet, Gregg D. Caruso, A ognuno quel che si merita. Sul libero arbitrio, Raffaello Cortina Editori, 2022.
  2. Filosofo del diritto; fondatore e direttore  della Rivista internazionale di filosofia del diritto; fondatore e presidente della Società italiana di filosofia del diritto.
  3. Filosofo del diritto tedesco e ministro nella Repubblica di Weimar tra il 1921 e il 1923.
  4. Filosofa statunitense e vincitrice del Premio Balzan 2022 per la filosofia morale
  5. A pagina 117 l’autore riporta le risultanze di un’indagine statistica effettuata nel 2007 in base alle quali il tasso di recidiva di coloro che scontano interamente la pena detentiva è di circa il 70%, contro il 19% di coloro che hanno beneficiato delle misure alternative.
  6. Si tenga presenta, inoltre, che Giovanni Fiandaca non crede che le nostre carceri <<possano diventare terreno di facile attecchimento di esperienze di GR>> (pag. 154)
  7. Incontro organizzato dalla Diocesi di Vittorio Veneto dove Agnese Moro e Franco Bonisoli sono stati invitati a parlare di giustizia riparativa agli studenti degli Istituti Superiori di Vittorio Veneto. Clicca qui per ascoltare le parole di Franco Bonisoli
  8. A tal proposito l’Autore pone un interrogativo: <<integrazione vantaggiosa o contaminazione confusivi che snatura entrambi i modelli di giustizia, accentuandone i rispettivi lati negativi?>>
  9. Incontro organizzato dal Prof. Michele Cascavilla (docente del dipartimento di sociologia giuridica e criminologia) nel Campus dell’Università G. D’Annunzio di Chieti con Agnese Moro per parlare di giustizia riparativa. Clicca qui per ascoltare le parole di Agnese Moro

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