La Cassazione meglio chiarisce gli elementi per la valutazione della richiesta di accesso alle misure alternative
Il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha emesso ordinanza il 09.02.2021, rigettando la richiesta di ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale (ex art. 47 O.P.) di un detenuto condannato per reati di distruzione di atti veri e falsità ideologica commessa da privato, evasione e violazione delle norme in materia di prevenzione patrimoniale ex art. 12 quinquies legge 7 agosto 1992, n. 356, con l’aggravante di cui all’art. 7 dl. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.
Alla base del rigetto dell’ordinanza, il Tribunale di Sorveglianza riporta quanto già evidenziato dal Magistrato di Sorveglianza, con decreto del 14.5.2020, che aveva respinto la richiesta del soggetto in via provvisoria. Questo, infatti, sottolineava come il detenuto, passati otto mesi dal precedente rigetto della proposta, non avesse ancora intrapreso una revisione critica della sua condotta, restando immutato quanto già precedentemente evidenziato.
Il Tribunale di Sorveglianza, per la decisione, si affida ad una serie di elementi, che portano i giudici a muoversi in direzione contraria, sui quali però sono varie le perplessità che possono sorgere. Un primo elemento critico è che, per la valutazione, i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano si sono affidati ad una relazione comportamentale, come si legge, “dal contenuto del tutto analogo alla precedente”, la quale era datata di quasi due anni, che conferma, oltretutto, la corretta condotta carceraria e la partecipazione a varie proposte trattamentali del soggetto, unitamente a quella dell’esperto criminologo (che, dal canto suo, sottolinea, invece, come sia escluso il pericolo di recidiva). Il Tribunale, nel decidere sulla misura, osserva, inoltre, come “l’accertamento della collaborazione impossibile [come nel caso di specie, ndr], a differenza della collaborazione attiva, è finalizzato ad eliminare l’ostatività per l’accesso ad alcuni benefici o misure alternative sul presupposto che, in relazione al fatto oggetto di condanna […] non esistano margini concreti di collaborazione utile”, specificando però che tale valutazione non esclude che permanga ancora una attualità del vincolo con l’organizzazione criminale di riferimento. Difatti, sottolinea il Tribunale, che per quanto sia piuttosto acclarato che per i fatti oggetto di condanna non sia possibile trovare ulteriori concreti spunti investigativi, questo non possa dirsi per una collaborazione che esuli dagli stessi ed investa quindi fatti altri.
Come ulteriore elemento che fa virare la valutazione in senso contrario alla concessione della misura, il Tribunale specifica che per una misura che concede ampi spazi di libertà come quella dell’affidamento in prova al servizio sociale, “non [si] possa prescindere dalla presa di coscienza da parte del detenuto dell’elevato disvalore delle condotte deliberatamente e consapevolmente assunte […] e dall’inizio di un serio percorso di rivisitazione critica del proprio operato” che, a detta del Collegio, sarebbe in questo caso assente.
Per questi motivi, l’istanza del soggetto viene rigettata.
La Corte di Cassazione, con sentenza Sez. I, n. 203, anno 2022, dichiara il ricorso avverso l’ordinanza di cui sopra fondato.
Il difensore di fiducia del soggetto, infatti, articola due motivi per cui ha proposto ricorso avverso tale ordinanza:
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con il primo, eccepisce “violazione di legge e vizio motivazionale in relazione agli artt. 4 -bis e 47 Ord. Pen” poiché il Tribunale ha rigettato la richiesta di ammissione all’affidamento in prova “sulla base di una valutazione difforme dal giudizio espresso dall’esperto criminologo che ha evidenziato la presenza di fattori escludenti il pericolo di recidiva” ed ha “giustificato il diniego con la mancata completa ammissione delle proprie responsabilità, da parte del ricorrente, in ordine al reato commesso, con particolare riguardo alla consapevolezza dello scopo di agevolare la cosca […]”. In questo modo, il Tribunale avrebbe espresso una “valutazione parziale e non conforme alla costante giurisprudenza di legittimità che richiede l’avvio di un processo critico di riflessione ma non anche l’ammissione delle responsabilità”. Inoltre, la difesa ha segnalato una ulteriore criticità del provvedimento impugnato che ha ritenuto di non potere escludere «l’attualità del vincolo con l’organizzazione criminale di riferimento», mentre lo stesso Tribunale, con l’ordinanza del 19 giugno 2019 (allegata al ricorso) con la quale era stata accertata l’impossibilità della collaborazione aveva affermato che «non sono stati forniti elementi sufficienti per affermare che esista ancora un collegamento con la cosca mafiosa».
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Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 666, comma 5, 678, comma 2, cod. proc. pen., 185, disp. att. cod. proc. pen., 47 e 13 Ord. pen. e vizio motivazionale. Il vizio risiederebbe nell’avere il Tribunale adottato il provvedimento senza la relazione di sintesi che avrebbe dovuto obbligatoriamente essere acquisita a norma dell’art. 678, comma 2, cod. proc. pen. Nel caso di specie, i giudici hanno emesso l’ordinanza nonostante il mancato invio della relazione di sintesi richiesta in data 7 gennaio 2021 e sulla base della (parziale) relazione comportamentale (identica a quella inviata al Magistrato di sorveglianza in sede di delibazione della domanda anticipatoria, come segnalato nell’ordinanza impugnata) nella quale si dava atto della mancata redazione della relazione di sintesi per l’assenza di indicazioni circa la disponibilità lavorativa ed il domicilio indicati dal detenuto. Altre informazioni sono state desunte dalla relazione criminologica dell’esperto ex art. 80 Ord. pen. La difesa ha dunque segnalato il duplice vizio derivante, da un lato, dall’avere utilizzato il Tribunale una relazione datata e risalente a circa due anni prima (peraltro dal contenuto solo parziale), dall’altro, per non avere disposto un differimento dell’udienza per acquisire la relazione di sintesi.
La Cassazione, nell’argomentare sul ricorso, si sofferma sulla precisazione dei requisiti imprescindibili su cui Tribunali e Magistrati devono basare le loro decisioni di accoglimento e rigetto. Infatti, addentrandosi nel caso di specie, la Corte sottolinea come il Tribunale, in data 7 gennaio 2021, avesse chiesto l’invio della relazione di sintesi in vista dell’udienza, relazione mai pervenuta al Tribunale, avendo lo stesso a disposizione soltanto una relazione comportamentale, di contenuto identico a quello della precedente utilizzata dal Magistrato di sorveglianza (per di più parecchio risalente nel tempo, essendo datata 6 aprile 2020) ed una relazione dell’esperto criminologo. La Corte ne approfitta per ribadire, richiamando sua pregressa giurisprudenza, che “grava sul tribunale di sorveglianza chiamato a decidere su istanza di affidamento in prova al servizio sociale l’onere di chiedere e acquisire di ufficio la relazione sull’osservazione del condannato condotta in istituto, se del caso anche mediante rinvio dell’udienza, non potendo la sua mancanza agli atti ricadere negativamente sull’interessato”. (Sez. 1, n. 10290 del 02/03/2010, Trif, Rv. 246519, conforme la più recente Sez. 1, n. 26301 del 11/04/2019, Koci, n.m.). L’elaborato utilizzato per la valutazione, infatti, non poteva considerarsi “idoneo a rappresentare l’evoluzione della personalità complessiva del condannato tenuto conto che il giudizio relativo alla richiesta di accesso alla misura alternativa deve essere contestualizzato al momento della formulazione del giudizio” e, nonostante i giudici avessero chiesto la relazione, non hanno poi “precisato le ragioni per le quali hanno ritenuto di procedere nonostante la [mancanza della stessa]”, contando che questa non può essere sostituita dall’acquisita relazione del criminologo, ritratto parziale del più complesso mosaico descritto dalla relazione di sintesi e, per di più, inframmezzato di elementi positivi che il Tribunale non ha preso in considerazione.
La Corte poi si sofferma sulla valutazione del Tribunale in merito alla mancanza dell’avvio di un processo di rivisitazione critica, nonostante l’effettiva presenza di una serie di indici positivi presenti sia nella relazione comportamentale che nella relazione dell’esperto criminologo, quali “la mancanza di pericolo di recidiva, la critica verso se stesso, l’assenza di contatti con la criminalità organizzata, la mancata segnalazione di procedimenti in corso o di altre condanne” e ribadita senza l’acquisizione della relazione di sintesi. Ed inoltre ha omesso di considerare che, secondo la giurisprudenza consolidata, “in tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato” (sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 277924, conforme Sez. 1, n. 773 del 03/12/1993, dep. 1994, Naretto, Rv. 258402), considerandosi, oltretutto, che dalla relazione dell’esperto criminologo tale avvio di processo è stata dimostrato ma non preso in considerazione dal Tribunale.
Per quanto riguarda, invece, la collaborazione impossibile, il Tribunale, come suddetto, specifica che questa non esclude l’attualità del vincolo con l’organizzazione criminale di riferimento. La Corte, pur ritenendo “astrattamente condivisibile tale affermazione”, ribadisce che tale attualità non può essere in alcun modo desunta dalla “possibilità di una collaborazione” ma deve essere adeguatamente illustrata e dimostrata. “Così argomentando il Tribunale ha sostanzialmente rimesso in discussione uno dei requisiti per l’accesso alla misura alternativa (quello della collaborazione impossibile, appunto) per il quale è già intervenuto un provvedimento definitivo ed indicato, quale requisito ulteriore per l’avvio alla misura alternativa, quello della collaborazione effettiva con la giustizia.” Tuttavia Sez. 1, n. 14158 del 19/02/2020, Minardi, Rv. 279120 (conforme Sez. 1, n. 51891 del 29/10/2019, Filippone, Rv. 278480) ha precisato che “in tema di concessione di benefici penitenziari a condannati per delitti ostativi di prima fascia, ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1, ord. pen., l’accertamento dell’impossibilità (o dell’inesigibilità) di un’utile collaborazione con la giustizia è circoscritto – stante il tenore letterale del comma 1-bis di detto articolo – alle sole circostanze e situazioni di fatto riferibili alle contestazioni mosse al condannato nei processi conclusisi con le sentenze di condanna per cui è in esecuzione la pena, senza poter essere dilatato fino a ricomprendervi gli ulteriori contenuti informativi che consentono la repressione o la prevenzione di condotte criminose diverse, inerendo tale requisito alla diversa figura della collaborazione effettiva con la giustizia, di cui all’art. 58-ter, comma 1, ord. pen., che sola consente il superamento delle soglie minime di espiazione di pena necessario per l’accesso ai diversi benefici penitenziari.” Dunque, ribadisce la Corte, “il requisito della collaborazione impossibile si atteggia in termini affatto diversi da quello della collaborazione effettiva che pare essere stato indicato dal Tribunale fra i presupposti mancanti nel caso di specie”.
Dunque, la Corte accoglie il ricorso e annulla l’ordinanza impugnata e, nel contempo, approfitta dello spazio della sua sentenza per delineare meglio i contorni dei requisiti richiesti per l’accesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale e di quelli della collaborazione (impossibile e non).
Per un’analisi più dettagliata dell’ordinanza e della sentenza di cui al presente articolo si rimanda a quanto scritto da Valentina Alberta (“Qualche puntualizzazione sugli obblighi istruttori e motivazionali del Tribunale di Sorveglianza in materia di misure alternative”), al seguente link.
A cura di Giulia Podestà