27 Aprile 2025

L’amore nei luoghi del castigo. Una recente presa di posizione in sede di reclamo avverso la decisione adottata dal magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia – Tribunale di Sorveglianza di Bologna, ord. 11.03.2025, n. 2025/1202, presidente ed estensore M.L. Venturini

A cura di E. Antonuccio e M.G. Brancati

1. L’ordinanza qui presentata ha deciso il caso di un detenuto per reati di cui all’art. 4-bis, c. 1 ord. pen., ristretto dal 29.11.2011, presso la Casa di reclusione di Parma dal 14.10.2016 (fine pena 23.11.2026) che, il 4.3.2024, aveva richiesto di poter effettuare con la moglie, già ammessa da anni ai colloqui ordinari, dei colloqui senza il controllo a vista, cc.dd. “colloqui intimi”, sulla scorta del riconoscimento del diritto a tale modalità di svolgimento da parte della Corte costituzionale, nel 2024, anche in difetto della promulgazione della relativa normativa 1. L’istituto penitenziario aveva rigettato la richiesta adducendo di essere ancora in attesa di direttive dagli Uffici superiori sulle modalità operative con cui dare attuazione a tale decisione della Consulta, anche a seguito della costituzione presso il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (DAP) di un gruppo di lavoro che aveva avviato una ricognizione tra i vari istituti. Il detenuto proponeva reclamo ex art. 35-bis ord. pen., allegando il grave e perdurante pregiudizio arrecato al suo diritto a subire una pena non disumana ai sensi dell’art. 27 Cost. in relazione al mantenimento del legame, anche fisico, con la propria moglie. Il Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia censurava l’atteggiamento attendista della Direzione del carcere aderendo alla sollecitazione espressa dalla Consulta a tutti gli attori istituzionali chiamati a impegnarsi, nelle more dell’intervento legislativo, a dare effettività allo svolgimento dei colloqui intimi. Secondo il giudice territoriale, dalla sentenza di incostituzionalità sono ricavabili delle direttive chiare sia in ordine alle verifiche di ammissibilità, sia in ordine alle modalità di svolgimento di questo particolare tipo di colloqui. Sul primo versante, il giudice individua tre livelli di verifica. Intanto, occorre accertare l’insussistenza di divieti legali, ossia la sottoposizione del richiedente a uno dei regimi detentivi speciali (ex artt. 14-bis e 41-bis ord. pen.) che sono ostativi alla concessione di colloqui intimi. La seconda verifica riguarda l’esistenza di eventuali divieti dell’autorità giudiziaria sui contatti tra il detenuto e la persona che dovrebbe partecipare al colloquio, legata al primo da un rapporto affettivo qualificato (coniugio, unione civile, convivenza more uxorio). Il terzo sindacato ricade sul comportamento del detenuto, su questo piano dovendosi ritenere preclusivi sia la pericolosità sociale, sia irregolarità di condotta e precedenti disciplinari. In riferimento alle modalità, il magistrato emiliano ricorda le indicazioni piuttosto dettagliate della Corte costituzionale sulla necessità che la durata del colloquio sia adeguata all’espressione piena dell’affettività e che i colloqui non siano sporadici e sull’importanza da dedicare all’allestimento di spazi adeguati. Aderendo a tali istruzioni, sono state, quindi, disposte delle integrazioni istruttorie d’ufficio richiedendo alla stessa Casa di reclusione di Parma di riferire: le nuove iniziative intraprese per dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale; le informazioni riguardanti la persona che avrebbe partecipato al colloquio; l’esistenza o meno di divieti dell’autorità giudiziaria impeditivi di contatti; il contegno del detenuto all’interno del carcere ed eventuali ragioni di ordine o sicurezza ostative allo svolgimento dei colloqui intimi. A seguito della risposta dell’istituto penitenziario, da cui si apprendeva solo l’assenza di iniziative organizzative e che i colloqui si sarebbero svolti con la moglie del detenuto, già ammessa allo svolgimento regolare di colloqui visivi in presenza, il giudice acquisiva la relazione di sintesi dell’équipe di osservazione per ricostruire il comportamento del richiedente. È stato, così, possibile accertare in capo al richiedente, non solo la condotta assolutamente regolare, ma anche la consapevolezza del disvalore delle azioni commesse, la presa di distanza dal contesto criminale di provenienza, l’affrancamento dall’uso di sostanze stupefacenti, la piena adesione alle attività trattamentali, lo svolgimento di attività lavorativa e periodici versamenti al fondo per le vittime dei reati di mafia. A fronte di tali risultanze, il Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia ha accolto il reclamo censurando il rigetto della Direzione dell’Istituto in quanto mancante della benché minima individualizzazione dell’esito sulla posizione del richiedente, rispetto al quale non è segnalato alcun elemento soggettivo che sia di ostacolo alla concessione dei colloqui intimi. Ha, quindi, disposto che fosse accordato al detenuto lo svolgimento di colloqui con la moglie senza il controllo a vista della Polizia penitenziaria, assegnando alla Casa di Reclusione il termine di 60 giorni per individuare locali idonei secondo le istruzioni già espresse dalla Corte costituzionale. Proponevano reclamo avverso il provvedimento d’accoglimento il DAP e la Procura di Reggio Emilia (nonostante il parere favorevole del P.M. d’udienza). L’impugnazione del DAP si fondava, sostanzialmente, su due argomenti. Secondo l’amministrazione, il giudice avrebbe dovuto valutare la pericolosità sociale del detenuto e non soltanto la regolarità della sua condotta inframuraria. Richiamava, in tal senso, le informazioni pervenute dalla DDA di Napoli, che insistevano sul tessuto criminale di appartenenza del detenuto, e, pur non riscontrando nuovi e concreti elementi di fatto sull’attualità del legame con la criminalità organizzata, riteneva di non poter escludere che ci fossero ancora dei collegamenti. Suggeriva, quindi, l’ipotesi di una sperimentazione esterna del comportamento del richiedente per comprovare l’effettività del ravvedimento. Come secondo argomento, il DAP spendeva la mancanza di spazi, di fondi e di una regolamentazione sulle modalità di svolgimento, che sarebbero, peraltro, riservate alla discrezionalità dell’Amministrazione. La Procura, per parte sua, si concentrava sulla questione della pericolosità sociale. Lamentando che l’équipe per l’osservazione inframuraria avesse mancato di chiedere informazioni all’Autorità giudiziaria che aveva avuto in carico la posizione del condannato, integrava l’istruttoria già svolta con una nota sopravvenuta della DDA di Napoli ove veniva evidenziata l’“obiettiva pericolosità della personalità del detenuto” argomentandola sulla base delle condanne ricevute e del legale, personale e familiare, con il clan camorristico e sottolineando che il gruppo criminale fosse ancora operativo e vi fosse inserito anche il fratello della moglie, a sua volta pluripregiudicato, da ciò desumendo che il colloquio intimo potesse risolversi in un’occasione per veicolare comunicazioni di interesse per l’organizzazione criminale. Secondo la Procura, la regolare condotta carceraria costituisce elemento del tutto “neutro” perché connaturato all’atteggiamento degli esponenti mafiosi. L’ammissione ai colloqui intimi dovrebbe fondarsi piuttosto su “rigorosi parametri oggettivi” e non su valutazioni esclusivamente “soggettivistiche”. Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha rigettato, con l’ordinanza in esame, entrambi i reclami. La motivazione esordisce chiarendo il giusto peso da assegnare all’osservazione penitenziaria, che i reclamanti avevano relegato a un ruolo neutrale, remissivo rispetto alle risultanze delle informative dell’Autorità giudiziaria. Invece, secondo il Tribunale, i reati commessi, le sentenze di condanna, le informazioni provenienti dagli organi inquirenti e investigativi, sono solo il punto di partenza per la valutazione della pericolosità, rispetto alla quale devono poi assumere particolare considerazione i risultati dell’osservazione inframuraria. Il quadro tracciato dalle indagini e dalle sentenze risale al passato, mentre le relazioni degli operatori del trattamento descrivono la persona del detenuto nella sua realtà attuale. Lungi dal rendere conto della mera regolarità della condotta, l’analisi della personalità, svolta nell’osservazione trattamentale, coglie il detenuto nel presente, nella molteplicità degli aspetti quotidiani in cui si esprime, dagli atteggiamenti ai comportamenti ripetuti, dalle frequentazioni alle attività svolte, alle espressioni verbali, ai colloqui. Attingendo dalla già citata C.Cost. n. 10/2024, l’ordinanza sottolinea che la pericolosità sociale deve essere rapportata allo specifico contesto e in funzione di ciò che è stato richiesto dal detenuto: i colloqui intimi non vanno, cioè, valutati secondo i criteri per la concedibilità di benefici esterni al carcere, ma per quello che sono, ossia modalità particolari per lo svolgimento di incontri che avvengono comunque dentro le mura dell’istituto. Ancorare il sindacato a tale specifico contesto serve a trovare il giusto equilibrio tra l’esercizio del diritto all’affettività e la tutela delle esigenze di ordine e disciplina, in ossequio al richiamo al “volto costituzionale” della pena compiuto dalla Consulta. È funzionale a tale tipo di valutazione l’ancoraggio della valutazione di pericolosità “al comportamento della persona detenuta in carcere”, che il Tribunale recupera, ancora una volta, dalla sentenza di incostituzionalità. Nella motivazione dell’ordinanza, si profila, dunque, chiaramente una duplicità di piani. Da un lato, il piano della “pericolosità sociale interna”, da valutarsi guardando al comportamento del detenuto all’interno del carcere e con la finalità di scongiurare comportamenti negativi interni all’istituto. Dall’altro lato, il piano della “pericolosità esterna” che può riflettersi al di fuori dell’ambito penitenziario. Secondo il Tribunale di Sorveglianza, le indicazioni della Corte costituzionale assegnano maggiore pregnanza al primo dei due piani, laddove il secondo può assumere rilevanza solo se, in concreto, possa essere ricollegato alle modalità di fruizione del colloquio in istituto. Poste queste coordinate, il Tribunale non si sottrae alla verifica, nel caso di specie, della sussistenza della “pericolosità esterna” e, addentrandosi nella disamina degli elementi conoscitivi forniti dalla DDA, ne esclude la sussistenza perché tali elementi sono fondati sulle condanne passate e sui legami familiari, quindi privi della necessaria attualità. Il paventato pericolo di strumentalizzazione dei colloqui per comunicazioni utili al sodalizio criminale non sarebbe, secondo il Tribunale, ragionevole, dal momento che da anni lo stesso detenuto intrattiene del tutto regolarmente colloqui ordinari con la moglie senza controllo auditivo e ha corrispondenza non sottoposta a censura. Non sarebbe quindi l’ammissione ai colloqui intimi a introdurre la possibilità di una comunicazione non controllata con l’esterno. Sul fronte della “pericolosità interna”, l’ordinanza apprezza il lavoro svolto dal giudice di primo grado. L’istruttoria effettuata ha consentito di raccogliere le necessarie informazioni, non solo sulla regolarità di condotta, ma anche sull’evoluzione dell’orientamento del detenuto, ristretto da oltre 13 anni. Facendo corretto uso delle indicazioni della Corte costituzionale, le informazioni acquisite dal Magistrato di Sorveglianza hanno consentito di verificare in concreto il comportamento del richiedente e sono state adeguatamente rapportate al contenuto della richiesta, ossia lo svolgimento del colloquio con modalità riservate, valorizzando a tal fine lo strumento della relazione dell’equipe per l’osservazione inframuraria, fondamentale per l’analisi della possibile progressione della personalità del detenuto. In tal senso e rifuggendo da ogni retorica, il Tribunale di Sorveglianza conclude la parte motiva dedicata alla pericolosità sociale rammentando icasticamente che “funzione precipua dell’esecuzione penale è quella di stimolare al cambiamento e di fornire nuove indicazioni per impostare uno stile di vita su canoni di legalità, altrimenti la carcerazione non avrebbe altra funzione che contenere e retribuire con il male, il male prodotto, secondo una visione arcaica della pena, statica e non propositiva e certamente non costituzionale”. L’ultima parte dell’ordinanza respinge, poi, la censura dei reclamanti di miglior appropriatezza di una sperimentazione esterna del contegno del detenuto. Infatti, allo svolgimento di colloqui intimi può ben essere ammesso anche chi fruisca di permessi premio e, quindi, le due misure possono essere concesse entrambe, anche se, inizialmente, stante la carenza di spazi e risorse, i detenuti cc.dd. “non permessanti” dovranno essere favoriti proprio per le inferiori occasioni di espressione dell’affettività. Sulla discrezionalità dell’Amministrazione nella determinazione delle modalità per l’esercizio dell’affettività, la motivazione dell’ordinanza richiama gli arresti giurisprudenziali ove è stato già chiarito che la libertà di godimento delle relazioni affettive è un diritto costituzionalmente tutelato, azionabile in via giurisdizionale, non una mera aspettativa 2. Ciò basta a escludere che si tratti di materia riservata alla discrezionalità amministrativa. La conferma conclusiva del provvedimento del Magistrato di Sorveglianza “davanti all’ormai non più sopportabile ritardo dell’Amministrazione nel dare esecuzione ai principi stabiliti dalla Corte costituzionale già oltre un anno fa” implicitamente disattende anche tutte le censure riguardanti le problematiche organizzative addotte dall’Istituto penitenziario, in primis, e dal DAP, poi. Nel quadro giuridico attuale, c’è più spazio per simili argomentazioni.

2. Negli ultimi anni, infatti, il tema dell’affettività in carcere ha assunto una nuova centralità nel dibattito giuridico, culminando nella richiamata sentenza C.Cost. n. 10/2024, che – come anticipato – ha affermato con forza l’esistenza di un vero e proprio diritto costituzionalmente tutelato all’affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari in capo alla persona detenuta. Il percorso che ha condotto al riconoscimento del diritto all’affettività in carcere ha origine dall’ordinanza del 12 gennaio 2023, con cui il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto aveva sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 18 ord. pen., nella parte in cui imponeva il controllo a vista durante i colloqui tra detenuti e familiari, escludendo così la possibilità di colloqui intimi. Secondo il giudice, tale obbligo viola(va) diversi articoli della Costituzione (artt. 2, 3, 13, 27, 29, 30, 31, 32, 117) e della CEDU (artt. 3 e 8), poiché compromette(va) il diritto alla libera espressione dell’affettività, anche sessuale, e la dignità della persona, ostacolando la finalità rieducativa della pena. La Corte ha dichiarato fondata la questione di legittimità costituzionale, segnando un primo significativo passo sul cammino del riconoscimento del diritto all’affettività, di cui anche il provvedimento in commento costituisce importante snodo. Ha ricordato innanzitutto la Corte che l’ordinamento tutela le relazioni affettive all’interno delle formazioni sociali, riconoscendo la libertà di viverle pienamente. Anche se la detenzione può incidere su tale libertà, non può arrivare a negarla in modo assoluto e indiscriminato, senza considerare le condizioni individuali del detenuto e le sue prospettive di reinserimento. La norma censurata (art. 18 ord. pen.), imponendo sempre il controllo visivo durante i colloqui, limita di fatto ogni possibilità di espressione autentica dell’affettività, soprattutto nella sua componente più intima. Questo automatismo, secondo la Corte, è irragionevole e quindi contrario agli artt. 3 e 27, c. 3 Cost. Inoltre, la Corte evidenzia come molti ordinamenti europei già riconoscano spazi per l’affettività intramuraria, e che il divieto assoluto vigente in Italia violi anche l’art. 8 CEDU (richiamato tramite l’art. 117, c. 1 Cost.), in quanto non giustificato da reali esigenze di sicurezza od ordine pubblico. Un ulteriore punto critico è il legame tra affettività e permessi premio: questi ultimi non possono soddisfare adeguatamente il diritto ai legami affettivi, poiché accessibili solo a pochi e subordinati a criteri rigidi, talvolta anche disciplinari. Il godimento dell’affettività, in quanto diritto fondamentale, non può dipendere da logiche premiali. Certamente la possibilità di colloqui intimi dovrà essere bilanciata con esigenze di sicurezza, ordine e disciplina, in particolare per i detenuti in attesa di giudizio, ma non potrà essere esclusa a priori. Infine, la Corte lascia al legislatore la piena facoltà di disciplinare in modo diverso la materia, purché nel rispetto del principio affermato: garantire alle persone detenute l’esercizio effettivo della loro affettività. La Corte costituzionale, nel valutare la questione di legittimità sollevata nel 2023, ha tenuto conto di un precedente: la sentenza 19 dicembre 2012, n. 301, con cui era stata dichiarata inammissibile un’analoga questione sull’art. 18, c. 2 ord. pen.3. In quel caso, la Corte aveva rilevato (1) una descrizione insufficiente del caso concreto, (2) l’assenza di parametri convenzionali evocati, e (3) la mancanza di criteri chiari per individuare i soggetti legittimati ai colloqui intimi. Nel nuovo giudizio, tali criticità risultano superate: il giudice rimettente ha dettagliato il caso concreto, ha evidenziato l’inadeguatezza degli strumenti esistenti (come i permessi premio) e ha invocato anche norme convenzionali, tra cui l’art. 8 CEDU, tramite l’art. 117, c. 1 Cost. Il contesto normativo è inoltre profondamente cambiato rispetto al 2012. Sono emerse disposizioni che riconoscono e tutelano le relazioni affettive: l’art. 1, c. 38 L. 76/2016 (equiparazione tra convivente e coniuge); l’art. 1, c. 20 L. 76/2016 (estensione dei diritti anche alle unioni civili); l’art. 18 ord. pen. modificato, che promuove una dimensione riservata dei colloqui con i familiari; l’art. 19, c. 3 d.lgs. 121/2018, che negli istituti minorili prevede visite prolungate a tutela dell’affettività. Infine, la Corte nota che, sebbene la riforma del 2018 non abbia esplicitamente disciplinato il diritto all’affettività degli adulti detenuti, il quadro giuridico generale risulta oggi fortemente rinnovato, rendendo fondata la nuova questione di legittimità costituzionale. La sentenza C.Cost. n. 10/2024 ha costituito un momento di rilevante affermazione dei diritti delle persone detenute, incidendo anche sul corretto assetto del sistema penitenziario, pur nell’esigenza di ridurre il più possibile il ricorso alla detenzione intramuraria. Il tema dell’affettività in carcere era rimasto a lungo irrisolto nel nostro ordinamento, nonostante i numerosi richiami della Corte EDU, della dottrina e del mondo associativo. Non sorprende, quindi, che la decisione della Corte sia stata accolta con favore dalla comunità giuridica fin dai primi commenti. Essa ha riconosciuto un principio ormai non più rinviabile: il diritto alla cura delle relazioni affettive va garantito anche a chi è privato della libertà personale, anzi, forse proprio in quel contesto assume un significato ancora più rilevante, in quanto legato alla funzione rieducativa della pena. Tuttavia, la sentenza presenta anche alcuni profili problematici, resi ancora più evidenti dalla sua natura di “additiva di principio”. Questo tipo di decisione, infatti, enunciando un principio giuridico senza però indicare in modo preciso il percorso normativo da seguire, ha demandato la sua attuazione concreta all’amministrazione penitenziaria, chiamata a predisporre strutture e strumenti adeguati, anche in assenza di un immediato intervento legislativo. A un anno dalla storica pronuncia del 2024, si sono potuti notare i primi effetti concreti, sebbene il quadro attuativo resti segnato da rilevanti criticità. La previsione iniziale di un’amministrazione penitenziaria restia ad attuare la decisione della Corte si è purtroppo avverata: nonostante le richieste avanzate, in nessun istituto penitenziario italiano è ancora stato concesso un colloquio intimo. Tuttavia, un primo importante segnale verso il cambiamento è arrivato dapprima da parte della Cassazione4, e successivamente con una serie di provvedimenti della magistratura di sorveglianza volti a riconoscere il diritto all’affettività della persona detenuta, tra cui – da ultimo – quello che si commenta. Il precedente di legittimità aveva preso l’avvio dal ricorso presentato da una persona detenuta presso la Casa di reclusione di Asti, a cui era stata negata la possibilità di un colloquio intimo con la moglie, adducendo la generica motivazione secondo cui “la struttura non lo consente”. Il Magistrato di Sorveglianza di Torino aveva dichiarato inammissibile il reclamo del detenuto, ritenendo che si trattasse di una mera aspettativa e non di un diritto tutelabile. La Cassazione ha invece ribaltato questa decisione, affermando che i colloqui intimi costituiscono una legittima espressione del diritto all’affettività e ai rapporti familiari, come sancito dalla Corte costituzionale. Tali colloqui possono essere negati solo per specifiche ragioni di sicurezza, ordine, disciplina o per il comportamento del detenuto. Di conseguenza, il reclamo andava valutato nel merito e non respinto in via preliminare: la Cassazione ha quindi annullato la decisione, rinviando al Magistrato di Sorveglianza per un nuovo giudizio. Questa sentenza ha inciso significativamente sull’ulteriore affinamento dei contorni del diritto di cui si discute, aprendo la via anche ai successivi provvedimenti di merito; essa, inoltre, ha sottolineato come il pieno riconoscimento del diritto all’affettività in carcere dipenda da concreti interventi organizzativi dell’amministrazione penitenziaria, senza i quali tale diritto rischia di restare solo teorico. Un primo precedente di merito è rappresentato dall’ordinanza del 29 gennaio 2025 del Magistrato di Sorveglianza di Spoleto5. Nel caso in esame, un detenuto del carcere di Terni aveva chiesto di poter incontrare la propria compagna in un contesto intimo, ma la direzione dell’istituto aveva negato la possibilità, adducendo la mancanza di spazi adeguati e l’attesa di indicazioni da parte dei vertici dell’amministrazione. Il magistrato ha però accolto il reclamo del detenuto, giudicando queste motivazioni generiche e insufficienti. Ha infatti sottolineato che non si trattava di un rifiuto basato su ragioni legate al singolo soggetto (come per esempio problemi disciplinari), ma su ostacoli organizzativi che non giustificano la negazione di un diritto fondamentale. Il giudice ha ricordato che la Corte costituzionale aveva attribuito alle stesse direzioni carcerarie il compito di attuare la propria decisione, anche in via provvisoria e con soluzioni temporanee. Per questo, ha ordinato all’istituto di Terni di organizzare la visita intima entro 60 giorni. Questo provvedimento ha rappresentato un tassello decisivo: per la prima volta, la magistratura di sorveglianza si è espressa in relazione alla possibilità di esercitare concretamente il diritto all’affettività sancito dalla Corte. Ma non solo: l’ordinanza ha indicato anche un percorso da seguire per altri detenuti che si trovino nella stessa situazione, vale a dire avanzare richiesta, impugnare eventuali dinieghi e, se necessario, ricorrere al giudizio di ottemperanza per far valere i propri diritti. Infine, l’ordinanza ha chiarito un punto importante e discusso: il diritto all’affettività non deve essere considerato un premio legato alla “buona condotta”, ma un diritto inviolabile, che può essere limitato solo in presenza di motivi concreti e specifici. In questo modo, il giudice di sorveglianza rafforza la lettura costituzionalmente orientata della sentenza della Corte e traccia una via per la sua attuazione effettiva. Nonostante le diverse difficoltà, il quadro interpretativo di matrice giurisprudenziale che va delineandosi sembra rafforzare sempre di più la tutela della dignità della persona detenuta, come richiesto dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e contribuisce a evitare possibili condanne da parte della Corte di Strasburgo. Esso rappresenta anche un invito molto chiaro al legislatore: è il momento di intervenire in modo serio e tempestivo, definendo meglio i confini e le modalità di esercizio di questo diritto.

3. In conclusione, anche l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna si iscrive in questo quadro giurisprudenziale ed è particolarmente interessante, intanto, per l’appezzabile equilibrio tra la fermezza con cui riafferma, con parole alte, i principi costituzionali della libertà personale e della funzione rieducativa della pena e la spiccata pragmaticità con cui affronta il compito di necessitata supplenza all’intollerabile inerzia legislativa offrendo indicazioni operative il più possibile chiare e nette. Ancora al 9 aprile 2025, il Ministro della Giustizia ha risposto in Parlamento a un’interrogazione a risposta immediata dell’On. Magi coi dati più aggiornati della situazione delle carceri ed è drammaticamente basso il numero degli Istituti penitenziari che si è attivato per dare attuazione al diritto all’affettività come indicato dalla C.Cost. n. 10/2024: “dei 189 istituti penitenziari, solo 32 hanno confermato, allo stato, l’esistenza di uno spazio idoneo allo scopo, previa preventiva attuazione di ingenti e corposi interventi strutturali. Gli altri 157 istituti hanno dichiarato di non avere a disposizione spazi adeguati6. Ciò rende più che mai urgente, appunto, che tutti i soggetti istituzionali coinvolti si impegnino a dar seguito all’invito espresso dal giudice delle leggi. Il secondo profilo di spiccato interesse riguarda la disamina – per quanto consta del tutto nuova in giurisprudenza – del rapporto tra colloqui intimi e reati ostativi. Il Tribunale di Sorveglianza, come sopra visto, ha ripreso e ribadito l’affermazione della Corte costituzionale secondo cui “l’ostatività del titolo di reato inerisce alla concessione dei benefici penitenziari e non riguarda le modalità dei colloqui”. Esclusa, quindi, la ravvisabilità di un impedimento normativo, la questione si sposta sul tipo di sindacato che la direzione del carcere, prima, e il magistrato, poi, sono chiamati a compiere ai fini della concedibilità dei colloqui intimi. In questo senso, l’ordinanza è chiara nell’indicare che il vaglio da svolgere deve riguardare la “pericolosità sociale interna” del detenuto, quindi, deve risolversi in una verifica in concreto sul comportamento inframurario da questi tenuto. La risposta a cosa ciò comporti sul piano pratico il Tribunale la fornisce convalidando l’operato del Magistrato di Sorveglianza di cui riconferma il provvedimento: l’istruttoria disposta in primo grado costituisce la corretta estrinsecazione giudiziale delle “linee guida” offerte dalla Consulta. Si può, oggi, notare che le motivazioni del Tribunale di Sorveglianza di Bologna sono state, sul punto, anticipatorie rispetto a quanto può leggersi nelle recentissime Linee Guida del DAP. Lo scorso 10 aprile 2025, è stato, infatti, diffuso il documento con cui il Dipartimento fornisce le indicazioni riguardanti i termini e le modalità per l’esercizio del diritto all’affettività, con la conseguente determinazione delle misure organizzative interne, indirizzate ai provveditori regionali dell’amministrazione penitenziaria, ai direttori degli istituti penitenziari e ai comandanti di reparto7. Le Linee guida contengono un apposito paragrafo sulle cause di esclusione soggettive dai colloqui senza controllo visivo (§6) ove, per i condannati per i reati di cui all’art. 4-bis, c. l ord. pen., come nel caso di specie, si conferma la necessità di un accertamento da parte della Direzione di eventuali motivi ostativi per “ragioni di sicurezza” e/o di “mantenimento dell’ordine e della disciplina” da desumere, primariamente, dalla condotta intramuraria del detenuto a fronte di un congruo periodo di osservazione funzionale al previo parere del gruppo di osservazione e trattamento o tramite lo staff multidisciplinare, riservando la consultazione dell’équipe solo nei casi in cui verrà ritenuta necessaria. Per questa tipologia di condannati, si aggiunge, però, come “assolutamente necessario” che l’istruttoria attinga anche le persone con le quali il detenuto chieda di svolgere il colloquio intimo. Tali informazioni socio-familiari potranno essere acquisite tramite il competente U.E.P.E., ma anche tramite le Forze di Polizia. E, per i detenuti del circuito Alta sicurezza, per collaboratori di giustizia e congiunti collaboratori di giustizia di indica come necessaria anche l’acquisizione da parte della Direzione del carcere di apposito parere alla competente DDA e alla DNA. Per quanto, quindi, l’ordinanza in commento sia temporalmente precedente, l’impostazione seguita è sintonica rispetto alla disciplina ministeriale più recente. Va, dunque, ormai riconosciuto che già oggi, secondo la normativa vigente e con le Linee guida emanate, è possibile e doveroso garantire colloqui più riservati. Se le amministrazioni penitenziarie non si attivano in tal senso, saranno considerate inadempienti, e le persone detenute potranno agire per vedere tutelato il proprio diritto. Tuttavia, chi conosce da vicino l’universo penitenziario sa bene che tra ciò che la legge prevede e ciò che realmente accade spesso c’è un divario enorme. Per questo, oltre all’apprezzato contributo della giurisprudenza, serve un impegno costante per vigilare sull’effettiva applicazione di questi diritti e per dare concretezza all’evocato volto costituzionale della pena.

Note

  1. V. Corte cost., 26 gennaio 2014, n. 10. Il testo della sentenza è consultabile, con nota di G. Vagli, Illegittimo il divieto di affettività in carcere. L’Italia si adegua all’Europa, al seguente indirizzo: https://osep.jus.unipi.it/2024/02/02/illegittimo-il-divieto-di-affettivita-in-carcere-litalia-si-adegua-alleuropa/. Sulla sentenza si vedano anche P. Beccari, Corpi reclusi, nessuna intimità. Sulla sentenza n. 10/2024 della Corte costituzionale, in disCrimen, 2024; R. De Vito, Frammenti di un nuovo discorso amoroso: la Corte costituzionale n. 10 del 2024 e l’affettività in carcere, in www.quetionegiustizia.it, 2024; L. Fabiano, Abulia legislativa e necessità di garanzie sostanziali in tema di diritti in carcere, in www.lecostituzionaliste.it, 2024; I. Giugni, Affettività in carcere. Note in attesa dell’attuazione di Corte cost., sentenza n. 10 del 2024, in Osservatorio AIC, 2024, 286 ss.; A. Menghini, Affettività in carcere: gioie e dolori di una sentenza epocale, in Foro it., 2024, 1369 ss.; A. Pugiotto, Amore dietro le sbarre: la Costituzione bussa ai cancelli della prigione, in Il Manifesto, 30.1.2024, 1; A. Ruggeri, Finalmente riconosciuto il diritto alla libera espressione dell’affettività dei detenuti, in Giur. cost., 2024, 161 ss.; M. Ruotolo, Il riconoscimento del diritto all’intimità delle persone detenute in un’originale additiva ad attuazione progressiva, ivi, 90 ss.; S. Talini, L’intimità quale diritto inviolabile «anche» negli istituti penitenziari. Considerazioni a margine della sent. n. 10/2024, in Quad. cost., 2024, 179 ss.; P. Veronesi, L’amore ai tempi delle catene: affettività e carcere secondo la sentenza n. 10 del 2024, in Nomos, 2024; e, volendo, M.G. Brancati, Amore che vieni, amore che vai. Note penalistiche sulla illegittimità costituzionale del controllo a vista della persona detenuta (a margine di Corte cost., 26 gennaio 2024, n. 10), in Arch. pen., 2024, 2.
  2. Cass. pen., Sez. I, 2 gennaio 2025 (ud. 11 dicembre 2024), n. 8.
  3. Corte cost., 19 dicembre 2012, n. 301, in www.penalecontemporaneo.it, 17 gennaio 2013, con nota di T. Grieco, La Corte costituzionale sul diritto dei detenuti all’affettività ed alla sessualità.
  4. Cass. pen., Sez. I, 2 gennaio 2025, cit.
  5. Per un commento si veda I. Giugni, Intimità in carcere: l’accoglimento di un reclamo ex art. 35 bis o.p. segna la strada per la concretizzazione della sentenza della Corte costituzionale, in www.sistemapenale.it, 11 febbraio 2025.
  6. V. Resoconto stenografico Seduta parlamentare 9.4.2025, consultabile con breve presentazione su questo sito https://osep.jus.unipi.it/2025/04/11/il-ministro-nordio-prende-posizione-sulla-questione-di-estrema-attualita-circa-lesercizio-in-concreto-dellaffettivita-nelle-carceri/.
  7. Il testo integrale delle Linee guida è consultabile sul sito ufficiale del Ministero della Giustizia: https://www.gnewsonline.it/affettivita-in-carcere-le-linee-guida-del-dap/.

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