Prima dell’approvazione del D. L.vo n.150/2022 non sono state numerose le occasioni in cui la giurisprudenza si è occupata della relazione tra pene detentive e pene sostitutive in executivis, anche in ragione del numero ridotto di queste ultime. Al momento dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia, infatti, si contavano nel nostro paese, complessivamente, solo 109 persone sottoposte a sanzioni sostitutive (108 in libertà controllata e 1 unico ed isolato caso di semidetenzione), a fronte di un totale di 35.802 condannati in misura alternativa alla detenzione1 e di 40.269 detenuti definitivi2. Soprattutto nell’anno che ci siamo lasciati alle spalle, invece, la Suprema Corte si è trovata ad esaminare alcune fattispecie che, pur essendo incentrate sulla questione dell’ammissibilità della sostituzione della pena in casi concreti, appaiono strettamente connesse alla natura e alla funzione delle pene sostitutive ma anche ad una aggiornata ricostruzione dell’architettura sistematica delle pene. Si tratta di sentenze emesse in relazione alla disciplina transitoria introdotta dall’art. 95 c.1 D. Lgs. n. 150/2022, che ha permesso l’applicazione retroattiva in bonam partem delle pene sostitutive anche nei giudizi di impugnazione pendenti alla data di entrata in vigore della riforma. Queste decisioni rappresentano quindi un primo inquadramento complessivo volto a dare coerenza e a rammentare le linee fondamentali, tratte dal diritto positivo, rispetto ad un sistema sanzionatorio ormai composito e che il legislatore ha costruito per successive inserzioni normative nell’arco di quasi cinquant’anni. In questo arco di tempo il nostro paese ha infatti, come noto, inizialmente contaminato la pena detentiva moderna, frutto del riformismo settecentesco di matrice illuminista, con l’introduzione delle misure alternative alla detenzione sulla scorta dei principi di graduazione, umanizzazione e individualizzazione della pena operata con la Legge n.354/1975 e le sue successive modifiche. Sul primo fallimentare tentativo di superamento del sistema carcerocentrico operato dalla Legge n.689/1981, la riforma Cartabia ha di recente innestato la radicale trasformazione del complessivo sistema delle sanzioni sostitutive in allora creato attraverso l’introduzione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi, inserite anche nel codice penale del 1930 con l’introduzione, ad opera del D. L.vo n.150/2022, dell’art.20 bis c.p.. Le pene sostitutive sono quindi ora significativamente parte del Capo I del Titolo II del Libro I del Codice penale denominato “Delle specie di pene, in generale”.
In questo primo periodo di applicazione delle pene sostitutive la Cassazione si è occupata, in numerose decisioni, della relazione tra pene sostitutive e, in particolare, dell’ammissibilità e dei limiti della sostituzione, in rapporto ad altri titoli in esecuzione o eseguibili nei confronti della stessa persona. In particolare l’attenzione della Suprema Corte si è concentrata sulla legittimità del Giudice a rigettare l’istanza di sostituzione di una pena detentiva breve con una delle “nuove” pene sostitutive sulla base della sussistenza di altra condanna in esecuzione che, sommata alla pena sostituibile, sfori i limiti massimi stabiliti dal codice penale e dalla Legge n.689/1981 pari, come noto, a quattro anni per le pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare e a tre anni per il lavoro di pubblica utilità. Può Tizio, che sta scontando in misura alternativa (ad esempio in affidamento in prova al servizio sociale) una condanna di quattro anni, essere destinatario di una sentenza di condanna a pena detentiva sostituita con tre anni di lavoro di pubblica utilità sostitutiva? E Caia, ristretta in carcere per una condanna definitiva a tre anni, può legittimamente aspirare ad ottenere, in altro procedimento, una condanna a pena sostituita con due anni di detenzione domiciliare sostitutiva? In una delle prime pronunce significative aventi ad oggetto le “nuove” pene sostitutive, la Suprema Corte – sentenza n.13133/2024, Prima Sezione Penale (udienza 07/12/2023, dep. 29/03/2024, Pres. Rocchi, Est. Magi, Rv.286129) è stata chiamata a statuire su una questione di diritto foriera di rilevanti conseguenze sul sistema delle pene, valutando se il Giudice che riceve la domanda di pena sostitutiva possa legittimamente respingerla solo in ragione della esistenza di un precedente cumulo di pene detentive già in esecuzione, in regime di misura alternativa, laddove l’entità complessiva della pena da eseguire superi il limite di legge per l’ammissione ad una pena sostitutiva. Nell’ordinanza sottoposta al vaglio della Cassazione, infatti, la Corte di Appello di Torino aveva rigettato l’istanza dell’imputato volta a sostenere la sostituzione della pena di anni tre e mesi dieci di reclusione in ragione, appunto, del fatto che egli si trovava già in espiazione pena, sia pure in regime di affidamento in prova al servizio sociale, per una pena di quasi tre anni di reclusione. La Corte di Appello evidenziava infatti che, in caso di favorevole valutazione della sostituzione richiesta, l’entità complessiva della pena da espiare avrebbe superato il limite di legge per l’ammissione ad una delle pene sostitutive, aggiungendo inoltre che la personalità del richiedente risultava negativamente illuminata dalla circostanza fattuale di un cumulo già in esecuzione. Disvelando il finale prima del percorso e dei fondamenti argomentativi, anticipiamo che la Cassazione ha ritenuto possibile la coesistenza tra una misura alternativa in corso di esecuzione e l’applicazione di una pena sostitutiva in un nuovo giudizio, rinviando alla fase esecutiva di quest’ultima la valutazione dello sforamento dei limiti massimi previsti per l’esecuzione extramuraria. I capisaldi di questa netta affermazione vengono individuati in alcune disposizioni introdotte con il D. L.vo n.150/2022, in particolare dagli artt.61 e 70 della novellata Legge n.689/1981. Rammentando anche che l’art.53, comma 3 Legge n.689/1981, come riformato, impone di tenere conto, ai fini della determinazione del limite della pena detentiva, della eventuale pena inflitta per il reato continuato se riconosciuto nella sentenza del Giudice di cognizione, la Suprema Corte evidenzia che la lettera dell’art.61 della Legge n.689/1981 prevede che la condanna alla pena sostitutiva sia indicata nel dispositivo della sentenza di condanna unitamente alla pena che si va a sostituire. Il Giudice di cognizione è, in buona sostanza, l’arbiter della sostituzione della pena nel caso di specie sottoposto al suo esame, vincolato solo ai limiti e alle condizioni normativamente previsti, ma totalmente estraneo ad operazioni di cumulo di pene inflitte con sentenze diverse. Recuperando l’incisività sugli obiettivi dell’attività di sentencing “il giudice della cognizione (…) decide sempre in via autonoma nell’ambito del ‘proprio’ giudizio lì dove sussistano i presupposti per l’accoglimento della domanda”. Presupposti rappresentati, in estrema sintesi, in primo luogo dal rispetto del limite di pena per il reato o i reati in continuazione oggetto di giudizio e, in secundis, dall’adeguatezza della pena sostituita ai sensi dei crismi dell’art.58, norma cardine che illumina il nuovo panorama delle pene sostitutive. E’ essa, infatti, che valorizza il ruolo del Giudice della cognizione attribuendogli la facoltà di sostituire la pena detentiva quando la pena sostitutiva sia maggiormente idonea alla rieducazione del condannato e, anche attraverso opportune prescrizioni, assicuri la prevenzione del pericolo della commissione di altri reati. Dalla pregressa maggiore centratura del giudizio sul mero fatto reato il Giudice ha, con la riforma, l’opportunità di divenire l’interprete e lo strumento dell’attuazione del finalismo rieducativo della pena e della promozione della sua declinazione specialpreventiva, strettamente connessa alla sua effettività (tant’è vero che la sostituzione non può essere disposta, recita sempre l’art.58, se sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute). Il legislatore, tuttavia, rammenta sempre la Cassazione nella decisione sopra richiamata, non ha affatto trascurato di disciplinare il frequente fenomeno della coesistenza tra più titoli, che trova una sua specifica disciplina nell’art.70, e la cui regolamentazione viene posposta alla fase esecutiva in senso proprio, successiva all’emissione della decisione del Giudice di cognizione e in base a una disciplina che appare chiara e coerente al Supremo Consesso che così la riassume:
- “… le pene sostitutive sono sempre eseguite dopo le pene detentive…” (art.70 comma 3): i titoli che comportano pene detentive (che, medio tempore, possono essere oggetto di una misura alternativa) e quelli che applicano pene sostitutive non devono necessariamente essere oggetto di unificazione. Laddove per la medesima persona risultino in esecuzione di più sentenze, quelle relative a pene detentive vanno eseguite prima (anche in affidamento o altra misura alternativa) e quelle relative a pene sostitutive dopo;
- solo nella ipotesi in cui le decisioni da porre in esecuzione sono tutte riferibili a pene sostitutive, anche di specie diversa, il legislatore impone il rispetto del limite massimo di quattro anni delle pene sostituite, con la conseguenza, che, in caso di sforamento di tale tetto, si applica per intero la pena sostituita (art.70 comma 3).
Vale la pena di rammentare che nel caso in cui, invece, le decisioni in esecuzione, sempre tutte riferibili a pene sostitutive, anche di specie diversa, non eccedano complessivamente i quattro anni, il legislatore, con il comma 2 dell’art.70, dispone che si applichino le singole pene sostitutive distintamente, anche oltre i limiti di cui all’articolo 53 per la pena pecuniaria e per il lavoro di pubblica utilità. Si tratta di un’innovazione consistente rispetto alla vecchia disciplina contenuta nella Legge n.689: il meccanismo previgente, come rammenta la Relazione illustrativa al D. L.vo n.150/2022, prevedeva infatti che, in caso di superamento del limite interno della singola pena sostituita per effetto del cumulo l’applicazione della sanzione sostitutiva “a scaglioni”3 . Per esempio, due condanne a due anni ciascuna al lavoro di pubblica utilità sostitutivo, secondo la nuova disciplina, comportano l’esecuzione di quattro anni (due più due) di lavoro di pubblica utilità, e non di tre anni di lavoro di pubblica utilità e uno di detenzione domiciliare come sarebbe stato nel regime precedente. La sentenza n.13133/24 è l’espressione di una giurisprudenza rapidamente formatasi, che ad oggi appare consolidata, sulla compatibilità tra misure alternative alla detenzione e pene sostitutive e sulla necessità che il Giudice di cognizione esamini l’istanza di sostituzione in via autonoma e con esclusivo riguardo alle sussistenza delle condizioni previste dalla legge nel caso sottoposto al suo esame: la complessiva situazione esecutiva del condannato sarà oggetto di valutazione nella successiva fase dell’esecuzione. L’affermazione dei principi di diritto appena richiamati si riscontra nella coeva sentenza n.19776 del 05/12/2023, dep.2024, Angileri, Rv.286400 e nella successiva sentenza n.11950 del 02/02/2024, Maggio, Rv. 285889, nonché della sentenza n.26837/2024 del 15/02/2024, Pres. Boni -Rel. Fiordalisi, tutte della Prima Sezione. Analogamente la Suprema Corte annulla, con sentenza n.33611/2024 del 06/03/2024 (Prima Sezione Penale, Pres. Mogini-Rel. Casa) l’ordinanza con la quale il Tribunale di Marsala aveva dichiarato inammissibile l’istanza di pena sostitutiva in ragione dell’espiazione in atto, al momento della presentazione della stessa, di un altro titolo di condanna, a mezzo della sottoposizione alla misura alternativa della detenzione domiciliare, sanzionando l’applicazione del Giudice a suo tempo adito dell’art.51-bis O.P.: “la norma penitenziaria (…) disciplina, per il Collegio, il caso di sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà a carico del soggetto già ammesso a una misura alternativa alla detenzione ma non stabilisce alcuna incompatibità con le pene sostitutive, sicché è erroneo il riferimento ad essa”. La ricognizione delle disposizioni introdotte con il D. L.vo n.150/2022, invece, laddove ha novellato la Legge n.689/1981 “induce a ritenere possibile la coesistenza tra misure alternative alla detenzione (nel caso in esame la detenzione domiciliare, appunto) e pene sostitutive”. Le decisioni fin qui esaminate si muovono sul piano dei rapporti e della possibile coesistenza della concessione di una pena sostitutiva in presenza dell’esecuzione, in corso, di una condanna in regime di misura alternativa: si tratta di un’ipotesi che, anche sulla base del mero buon senso, sembra agevolmente sostenibile. La Cassazione, tuttavia, amplia il medesimo ragionamento anche all’ipotesi di una richiesta di pena sostitutiva da parte di condannato ristretto in istituto in forza di altro titolo. Sempre la Prima Sezione Penale, in diversa composizione (Pres. Di Nicola – Rel. Mancuso), nella successiva sentenza n.25457/2024 (ud. 18/01/2024-dep), in applicazione dei principi già espressi nella sentenza n.13133/2024 che espressamente richiama, conclude affermando che non costituisce causa ostativa alla sostituzione di pene detentive brevi il fatto che il condannato debba espiare altra pena in istituto penitenziario e che le condanne complessivamente superino i limiti temporali previsti per la sostituzione. In questo caso, in cui era in esecuzione un ordine di carcerazione, per complessivi anni cinque e mesi cinque di reclusione, il condannato chiedeva, in applicazione della norma dell’art.95 D. Lgs. n.150/2022, la sostituzione della pena detentiva di anni due e mesi otto inflittagli della Corte di Appello di Napoli e la nullità del relativo ordine di esecuzione emesso. Anche nel caso di specie la Suprema Corte riconosce la natura sostanziale della sostituzione e la sua applicabilità nella fase di cognizione, senza interferenza con la fase di esecuzione che avrà luogo successivamente e sarà a quel punto regolata dalla disposizione specifica dell’art.71 L. n.689/1981. Nell’esplorazione della relazione tra pene sostitutive ed i diversi istituti afferenti le modalità esecutive della pena non può non richiamarsi la sospensione condizionale della pena. Al vaglio della Corte di Cassazione – Sezione Prima, che ha deciso con la sentenza n.38435/2024 del 07/06/2024 (Pres. Casa – Rel. Valiante) il ricorso della Procura della Repubblica di Patti, che lamentava la concessione della pena sostitutiva della detenzione domiciliare sostitutiva da parte del Tribunale prima di decidere sulla istanza di revoca della sospensione condizionale della pena presentata dalla competente Procura Generale. Anche in questo caso la Suprema Corte è nettissima, qualificando la questione posta come “irrilevante” e ribadendo ancora una volta che “il limite della pena sostituibile (…) va riferito alla pena concretamente e conclusivamente, irrogata dal giudice della cognizione, quale risultante all’esito della commisurazione giudiziale (…). Ogni altra considerazione (…) resta al di fuori dell’apprezzamento giudiziale, sicché il giudice procedente non dovrà tener conto, se l’imputato è già censurato, dell’eventuale concorrenza di titoli e della pena complessiva all’esito risultante. La concorrenza dei titoli assume rilevanza, a sostituzione di pena avvenuta, solo in sede esecutiva”.
L’azione di nomofilachia della Corte di Cassazione evidenzia non solo la tutela giurisprudenziale dell’estensione dell’ambito applicativo della sostituibilità promossa dal legislatore delegato ma orienta il sistema verso finalità più accentuatamente specialpreventive. L’applicabilità delle pene sostitutive è stata prevista sul presupposto che esse scongiurino, con le opportune prescrizioni, il pericolo di recidiva. La sede elettiva di prognosi è stata ricentrata, come afferma la Cassazione nella sentenza n.26837/2024, sul giudice di cognizione, che potrà allo scopo essere specificamente proseguito per le decisioni inerenti all’an e al quomodo della sostituzione, essendo anche venuta meno la divaricazione precedentemente esistente tra il momento della nominale irrogazione della pena sostitutiva ad opera del giudice procedente e la fase della concreta determinazione delle modalità di esecuzione ad opera del magistrato di sorveglianza. Il meccanismo è stato infine emancipato dalla prospettiva della sospensione condizionale che, quale fattore potenzialmente disincentivante, non è più ammessa in caso di sostituzione. Non è infrequente nella prassi ed è funzionale al mandato rieducativo dell’art.27 della Costituzione che vi siano condannati che scontano in misura alternativa ordini di esecuzione successivi nel tempo, purché rientranti, al momento dell’inizio della loro esecuzione, nei limiti di pena previsti per le misure alternative. Ad una logica analoga e coerente per un’analoga prassi, anche con riferimento alle pene sostitutive, paiono corrispondere le sentenze richiamate.
Le decisioni della Corte di Cassazione nel corso del primo periodo di applicazione delle pene sostitutive introdotte dalla riforma Cartabia appaiono espressione di un generale favor dell’ordinamento all’esecuzione della pena detentiva breve con modalità extramuraria, corrispondente alla necessità di dare gambe a questo nuovo tentativo del sistema di superamento del carcere.
E’ forse ancora presto per valutare se le nuove pene sostitutive possano davvero incidere e in quale misura sul riequilibrio del nostro sistema sanzionatorio in termini di riduzione delle misure alternative alla detenzione e, soprattutto, della carcerazione, come a suo tempo auspicato da Dolcini4. Gli interventi della Cassazione vanno però nella direzione di promuovere una loro effettiva operatività nell’ambito del sistema e un’interpretazione coordinata e coerente delle norme in materia di modalità di esecuzione della pena.
Note
- Adulti in area penale esterna, Analisi statistica dei dati. Elaborazione su dati statistici convalidati alla data del 31.12.2022, Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità. Clicca qui
- Detenuti presenti – Aggiornamento al 31.12.2022, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Clicca qui
- Relazione illustrativa, pag.221
- Emilio Dolcini, in “Dalla Riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive” in Sistema penale, 30/08/2022, in particolare pagg.24 e 25. Clicca qui