La Cassazione richiama il Tribunale di sorveglianza al rispetto della circolare D.A.P.: non può essere trascurato il parere della DDA ai fini dell’autorizzazione al colloquio telefonico.

1. Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte si occupa dei colloqui telefonici tra detenuti, entrambi al carcere duro. La questione appare particolarmente complessa, dal momento che vi si scontrano, da un lato, le ben note esigenze di sicurezza, dall’altro il diritto al mantenimento delle relazioni familiari, che si esercita anche per il tramite del diritto al colloquio. Invero, accanto al colloquio visivo, la norma consente, in sostituzione, il colloquio telefonico. (1)

2. Nel caso di specie, la richiesta è proposta da Domenico Gallico, detenuto al 41-bis,al fine di recuperare i colloqui telefonici non eseguiti nel mese di novembre 2020 con la sorella, detenuta anch’essa al regime speciale. A seguito del diniego, in prima battuta, da parte dell’Amministrazione, il detenuto presenta reclamo al magistrato di sorveglianza, ricevendone l’accoglimento. L’Amministrazione, conseguentemente, impugna dinnanzi al Tribunale di sorveglianza. Detta autorità rigetta il reclamo, assegnando preminenza assoluta al diritto al mantenimento delle relazioni familiari e tralasciando, di converso, le predette esigenze di sicurezza, dal momento che il diritto al colloquio, anche nei casi in cui il congiunto sia a sua volta sottoposto al regime detentivo speciale, deve essere garantito senza ulteriori valutazioni discrezionali da parte dell’autorità amministrativa e senza previa necessità del parere obbligatorio della DDA, la cui previsione da parte delle circolari del DAP –all’art. 16.2 della n. 3676/6126 del 2017, ndr- appare eccentrica rispetto alle finalità del trattamento penitenziario.

3. L’Amministrazione ricorre, a questo punto, per Cassazione, articolando più motivi: innanzitutto, rileva che il Tribunale non ha preso in considerazione il suddetto parere, in palese contraddizione della previsione della circolare,  sul semplice assunto della sua supposta superfluità ed eccentricità, senza neppure valutare nel merito il contenuto; in seconda battuta, il ricorrente nega l’esistenza dei presupposti per la concessione dei colloqui in esame, richiamando la soluzione prospettata in una recente pronuncia di legittimità, la n. 29007 del 2021, in cui la Cassazione ebbe modo di precisare che la concessione del colloquio tra due elementi, pur legati da vincolo di parentela, ma che risultino entrambi ristretti in regime differenziato, finirebbe per eludere la stessa ratio legis e lo scopo che sottende.

4. La Suprema Corte, ciò nonostante, sostiene che una tale soluzione non possa essere accolta e che non vi sia alcuna ragione per discostarsi, al contrario, dall’orientamento rilevato nella sent. della  Sez. 1, n. 7654/2014, che rappresenta un punto di equilibrio tra esigenze di sicurezza e rispetto di diritti costituzionalmente e convenzionalmente protetti, dal momento che non vi è dubbio che l’esercizio del diritto al mantenimento dei rapporti familiari non è impedito dallo stato di detenzione del familiare e, in specie, dalla sottoposizione dello stesso al regime differenziato, purché questo avvenga, necessariamente, mediante forme di comunicazione controllabili a distanza (come la videoconferenza), tali da consentire la coltivazione della relazione parentale e, allo stesso tempo, da impedire il compimento di comportamenti fra presenti, idonei a generare pericolo per la sicurezza interna dell’istituto o per quella pubblica.

Al contempo, tuttavia, la Suprema Corte accoglie l’eccezione posta in essere dal ricorrente nella parte in cui si riferisce alla mancata valutazione del parere della DDA, richiamando l’articolo 16.2 della circolare del D.A.P. n. 3676/6126 del 2017, il quale prescrive, con riguardo ai detenuti sottoposti al regime differenziato, “che eventuali richieste di colloqui telefonici con altri familiari ristretti in regime di 41-bis e non saranno generalmente accolte, salvo che dal parere non vincolante, richiesto alla competente DDA, emergano concreti e rilevanti elementi che ne sconsiglino l’effettuazione”.

La Suprema Corte, pertanto, rinvia al Tribunale e fa propria la motivazione già espressa nella sentenza n. 31634/2022 (riguardante lo stesso Gallico), in cui aveva evidenziato come la disposizione della circolare giova ad un esame quanto più completo possibile della vicenda in cui si colloca l’esercizio del diritto al colloquio che, in ragione della particolare situazione del soggetto con cui effettuarlo, deve misurarsi con le contrapposte esigenze di sicurezza.

A cura di Stefano Colletti e Michelangelo Taglioli (Università di Pisa)

 

 Riferimenti

(1) Al fine di una migliore contestualizzazione, sintetizziamo la disciplina in tema di colloquio telefonico, per i soggetti sottoposti al c.d. “carcere duro”, così come risultante dal combinato degli artt. 41-bis, comma 2-quater, ord. pen. e 16.2 della circolare D.A.P. 2/10/17 n.3676/6126.

Il primo articolo dispone che il colloquio telefonico può essere autorizzato, solo per coloro che non effettuano il colloquio visivo:

  • Dal Direttore dell’istituto.
  • Dall’A.G. per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado.

In ogni caso, può essere autorizzato solo dopo 6 mesi di applicazione del regime speciale, la durata del colloquio è di 10 minuti ed è sottoposto alla registrazione.

Questa tipologia di colloquio, nonché anche quello visivo, ha come destinatari i familiari, per cui non si applica quanto appena descritto nel caso di colloquio con il difensore.

Al contempo, nella circolare, l’art. 16.2 specifica i singoli presupposti, in particolare:

  • Il detenuto deve inoltrare una richiesta contenente: la rinuncia al colloquio visivo (se non ancora effettuato) e l’indicazione dei familiari con cui vuole effettuare il colloquio.
  • La suddetta richiesta è volta a integrare l’attività istruttoria che si compone anche dell’acquisizione del parere dalla DDA – il cui contributo orienta la scelta amministrativa
  • Tuttavia, l’autorità competente a decidere – Direttore o A.G. – è libera di discostarsi dal parere acquisito che non ha carattere vincolante.

La richiesta può anche contenere l’indicazione di un familiare anch’esso detenuto al 41-bis, e tale richiesta sarà generalmente accolta, salvo che dal parere suddetto emergano concreti e rilevanti elementi che ne sconsigliano l’effettuazione.

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