Con la sentenza in oggetto, la Cassazione “rinvia la palla” alla magistratura di sorveglianza per decidere la concessione di un permesso premio ad un soggetto responsabile di reati ostativi e, nel farlo, ricorda uno dei tratti caratteristici della materia penitenziaria, ovvero la necessità di seguire gli sviluppi del trattamento rieducativo in ogni momento processuale, come testimonia la possibilità di istruire il giudizio anche d’ufficio ed in qualsiasi grado di merito.
A fronte di un negato permesso premio ad un condannato per reati inclusi nel catalogo di cui all’art. 41 bis o.p. (n.d.r.), il richiedente proponeva reclamo al Tribunale di Sorveglianza, il quale confermava la decisione del giudice monocratico rilevando l’inadeguatezza dei progressi trattamentali compiuti, sulla base di una relazione di sintesi risalente nel tempo a circa due anni prima. Più specificamente, l’organo collegiale affermava come il suo compito si esaurisse nel controllare la correttezza dell’operato del primo giudice, essendo a quest’ultimo demandata un’eventuale nuova decisione laddove fossero pervenuti gli aggiornamenti del percorso rieducativo del detenuto.
Dal canto suo, l’interessato rilevava, in sede di legittimità, come il Tribunale di Sorveglianza avesse errato nel motivare in tal senso, in quanto si era limitato ad un giudizio superficiale degli atti amministrativi pervenutigli, omettendo, altresì, di esercitare i poteri che la legge gli conferiva al fine di istruire in maniera opportuna la causa.
I giudici della Prima Sezione della Cassazione non hanno potuto che condividere i rilievi fatti valere con l’atto di impugnazione, definendo “censurabile” sia il modus decidendi sia il modus procedendi dell’organo destinatario del primo reclamo.
Su questo duplice profilo critico si sviluppa la sentenza, la quale in primo luogo ricorda che «[l]‘osservazione scientifica della personalità è compiuta all’inizio dell’esecuzione ed è proseguita nel corso di essa (art. 13, quarto comma, o.p.), anche al fine di accertare, attraverso l’esame ulteriore del comportamento del soggetto e delle modificazioni intervenute nella sua vita di relazione, eventuali nuove esigenze che richiedano una variazione del programma di trattamento (art. 27, comma 3, del regolamento). Il gruppo di osservazione tiene riunioni periodiche, nel corso delle quali esamina gli sviluppi del trattamento stesso e i suoi risultati (art. 29, comma 3, del regolamento). La decisione sull’istanza di permesso deve essere dunque assunta sulla base di tale compendio istruttorio, ad impulso officioso, e all’esito del suo completamento, e dei successivi necessari aggiornamenti, entro un tempo ragionevole sul cui rispetto l’Autorità decidente è chiamata a vigilare (Sez. 1, n. 19366 del 19/03/2019, Meneghetti)».
In aggiunta a questo, la natura di giudizio sostitutivo del reclamo non permette ai giudici del merito di rinviare ad una nuova decisione dell’organo monocratico, tanto più nella giurisdizione penitenziaria; essendo questa una giurisdizione “allo stato degli atti”, concentrata in toto sullo sviluppo della personalità, «si caratterizza (…), anche in fase di gravame, per il suo costante adattamento agli sviluppi della vicenda esecutiva e detentiva della persona condannata, che appaiono in costante e fisiologica evoluzione. Il giudice del reclamo non può, dunque, arrestare la sua valutazione alla situazione esistente al tempo di emissione del provvedimento censurato, ma deve apprezzarne la permanente legittimità e opportunità alla luce del quadro conoscitivo che si presenta dinanzi a lui, eventualmente aggiornato alla luce del contributo, argomentativo e documentale, offerto dall’interessato in sede di udienza camerale, nonché delle informazioni ulteriormente pervenute o acquisite, anche ex officio a norma dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., richiamato dal successivo art. 678».
La sentenza desta un certo interesse in quanto mostra in tutta la sua portata la difficoltà nel prendere la decisione di concedere un minimo spazio di libertà a chi ha commesso gravi reati; nella fattispecie presa in esame si intravede, infatti, la mal celata ritrosia di una parte della giurisprudenza di merito a recepire le conseguenze della sentenza 253/2019 della Corte Costituzionale.
Come noto, la richiesta di permesso premio da parte di chi potrebbe aver persino rivestito un ruolo apicale all’interno di organizzazioni criminali, tanto da essere potenzialmente destinatario del regime del “carcere duro”, è oggi valutabile nel merito anche laddove non vi sia stata attività di collaborazione con la giustizia.
Nel caso de quo il reclamante, criminale di notevole spessore, aveva compiuto dopo il 2019 un percorso di giustizia riparativa, fatto che sicuramente “pesa(va) molto” nella valutazione prognostica di pericolosità sociale e presumibilmente fa(ceva) pendere l’ago della bilancia per la concessione del permesso premio. Nonostante questo, pare che la decisione di far uscire dal carcere un soggetto avente alle spalle reati di una certa efferatezza costituisca ancora un peso assai gravoso per i magistrati di sorveglianza, forse troppo, tanto da spingerli verso un nebuloso non liquet a cui soltanto la Corte di Cassazione può porre in extremis rimedio.
Quì la sentenza.
Guglielmo Sacco