Cass. Pen., Sez. I, sent. 7 luglio 2021, n. 33339, Presidente Casa, Relatore Renoldi: misure alternative alla detenzione e stato di salute del detenuto.
Con ordinanza del 12 ottobre 2020, il Tribunale di sorveglianza di Napoli rigettava le istanze di detenzione domiciliare, di affidamento in prova e di ammissione al regime di semilibertà proposte nell’interesse di un detenuto, condannato alla pena di anni nove di reclusione per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Nello specifico, a parere del giudicante lo stato di salute del prevenuto, al momento delle istanze, non presentava particolari criticità, potendo, pertanto, essere gestito nel Presidio Ospedaliero attrezzato dell’Amministrazione penitenziaria.
Diversamente, le domande di affidamento in prova al servizio sociale e di semilibertà non potevano trovare accoglimento per molteplici ragioni: la gravità del delitto per cui vi era stata condanna, il fine pena non prossimo, la necessità di sperimentare ulteriormente la condotta carceraria e l’adesione al programma trattamentale per accertare il perdurare dell’inesistente rischio di ripristino dei rapporti con la criminalità organizzata.
Orbene, avverso il predetto provvedimento, il detenuto ricorreva per Cassazione per mezzo del Difensore di fiducia, deducendo, quali motivi di impugnazione, la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 47 e 47-ter Ord. pen., nonché la mancanza della motivazione in quanto apparente.
Rispetto ai vizi lamentati, veniva rilevato che, nel decidere sull’istanza di detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1, lett. c) e d), Ord. pen. (peraltro pienamente ammissibile, nel caso de quo, in ragione dell’inesigibilità della collaborazione e dell’inesistenza di legami attuali con la criminalità organizzata), il Collegio partenopeo, invece di constatare che le patologie dell’istante avrebbero comportato la necessità di costanti contatti con i presidi sanitari territoriali, motivava il rigetto rilevando che l’infermità del detenuto non fosse grave e che la prognosi non fosse infausta quoad vitam a breve scadenza; così confondendo i presupposti della detenzione domiciliare con quelli del rinvio dell’esecuzione della pena.
Ed ancora, quanto alle domande di affidamento in prova al servizio sociale e alla semilibertà, la Difesa rilevava che il decidente le avrebbe rigettate entrambe con un’unica motivazione, a discapito della diversità dei loro presupposti.
Infine, venivano poste in evidenza diverse circostanze, tra cui il fatto che il ricorrente non aveva alcun carico pendente. Inoltre, veniva fatto notare che al momento dell’emissione dell’ordine di esecuzione della pena il predetto si era costituito tempestivamente presso un istituto di detenzione. Ed ancora: il Tribunale delle misure di prevenzione, con provvedimento del 2016, non applicava nei suoi confronti alcuna misura per assenza di pericolosità sociale, la relazione comportamentale esprimeva un giudizio positivo sulla prognosi di rieducazione ed il Magistrato di sorveglianza avrebbe concesso reiteratamente il beneficio della liberazione anticipata.
Peraltro, era lo stesso Tribunale di sorveglianza di Napoli che con lo stesso provvedimento impugnato riconosceva l’inesigibilità della collaborazione del detenuto e l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il ricorso dovesse essere accolto e che l’ordinanza impugnata dovesse essere annullata, con rinvio, al Tribunale di sorveglianza di Napoli per nuovo giudizio.
In punto di diritto, viene rilevato che – limitatamente al caso che ci occupa – l’art. 47-ter, comma 1, Ord. pen., contempla le due ipotesi disciplinate dalle lettere c) e d), afferenti al caso “di condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali” ovvero al caso di “persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente”.
Ebbene, rispetto all’ipotesi di cui alla lettera c), secondo la giurisprudenza di legittimità, vi è una drastica differenza tra i presupposti del rinvio dell’esecuzione della pena e quelli relativi alla detenzione domiciliare.
Invero, nel primo caso si presuppone che, a causa della natura dell’infermità e della prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione della pena appaia contraria al senso d’umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti ossia appaia priva di significato rieducativo in conseguenza dell’impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato. Diverso è il caso della detenzione domiciliare che può essere disposta allorquando le condizioni di salute, pur particolarmente gravi, non presentino le suddette caratteristiche di sofferenza o di prognosi infausta e richiedano i contatti con i presidi sanitari territoriali.
Quanto, invece, alla misura contemplata dalla lettera d) dell’art. 47-ter, comma 1, Ord. pen., questa presuppone la sussistenza di un duplice requisito: sia l’età non inferiore ad anni sessanta del condannato, sia la condizione di “inabilità” anche solo parziale del predetto.
Preme, peraltro, precisare che la nozione di “inabilità”, secondo costante giurisprudenza, debba essere riferita non già all’eventuale inattitudine allo svolgimento di attività lavorative, bensì a una condizione di decadimento non temporaneo delle condizioni psico-fisiche della persona; condizione che è tale da incidere sulla concreta possibilità di svolgere le ordinarie azioni della vita quotidiana, limitando apprezzabilmente la vita sociale e relazionale, con esclusione dei casi in cui il soggetto sia affetto soltanto da patologie psichiatriche.
Ne discende, consequenzialmente, che la ratio della disposizione è quella di favorire la de-carcerazione di condannati che non presentano rilevanti profili di pericolosità residua e le cui condizioni di salute, senza raggiungere soglie di particolare gravità, appaiono compromesse in funzione appunto del progredire della loro età.
In conclusione, alla luce di tali premesse, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che l’ordinanza impugnata fosse “gravemente deficitaria fin dalla indicazione della situazione clinica del detenuto, essendosi il Tribunale limitato a riportare tutte le visite cui egli è stato, nel tempo, sottoposto, ma non avendo chiarito nemmeno da quali patologie [il detenuto] sia affetto” (cfr. Cass. Pen., sez. I, sent. n. 33339/2021).
Per tali ragioni, non sarebbe stato possibile valutare l’eventuale sussistenza del requisito delle gravi condizioni di salute – valutato dal Tribunale di sorveglianza attraverso l’errato riferimento alle gravi condizioni di salute rilevanti ai fini del differimento dell’esecuzione della pena – nonché del requisito relativo alla condizione di inabilità, anche solo parziale, del soggetto ultrasessantenne, peraltro non valutata in alcun modo dall’organo giudicante di Napoli.
Infine, quanto alla richiesta di ammissione al regime di semilibertà, la sintetica motivazione fornita – accomunata a quella relativa all’istanza di affidamento in prova al servizio sociale – non poteva che rendere necessaria una nuova valutazione da parte del predetto Tribunale di sorveglianza, il quale dovrà, attraverso una più adeguata motivazione, dare contezza del percorso logico-argomentativo posto a fondamento della relativa decisione.
Qui il testo della sentenza.
A cura di Arianna Stefani