Raccomandazione della Commissione Europea C(2022) 8987

La Commissione europea ribadisce la necessità di rafforzare i diritti procedurali di tutti quanti gli indagati e gli imputati.

 

1.Tra i provvedimenti adottati dalla Commissione europea nell’ultimo scorcio del 2022 assume particolare rilievo la Raccomandazione 8 dicembre 2022, n. 8987 «sui diritti procedurali di indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione», volta a suggerire misure per rendere la custodia cautelare effettivamente extrema ratio e per migliorare le condizioni detentive.

Si rafforza in tal modo il quadro di garanzie delineato nelle sei direttive sui diritti procedurali già adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio negli anni precedenti: la 2010/64 sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali; la 2012/13 sul diritto all’informazione nei procedimenti penali; la 2013/48 relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo; la 2016/343, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza a e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali; la 2016/800 sulle garanzie procedurali per gli imputati minorenni e la 2016/1919 sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di indagati e imputati nell’ambito di procedimenti penali e delle persone ricercate nell’ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d’arresto europeo.

In un lungo e dettagliato Preambolo (che, per inciso, solo nella traduzione italiana è numerato, così come la Raccomandazione) si ricordano i valori fondanti e i principi accolti nella Carta dell’Unione europea in tema, fra gli altri, di diritto alla libertà e alla sicurezza, di inviolabilità della dignità della persona, di divieto di tortura, di pene e trattamenti inumani e degradanti, di diritto alla vita familiare. Si ricorda altresì che gli Stati sono tenuti al rispetto dei principi espressi nella Cedu e nei relativi Protocolli addizionali, e che vi sono strumenti “non giuridicamente vincolanti”, quali le Regole minime standard delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti rivisitate nel 2015 (c.d. Regole di Mandela), le Regole minime standard delle Nazioni Unite per l’elaborazione di misure non detentive(c.d. Regole di Tokyo), la Raccomandazione 2006(2) rev.del Comitato dei ministri sulle regole penitenziarie europee, la Raccomandazione2006 (13) sempre del Comitato dei ministri sul ricorso alla custodia cautelare, di cui gli Stati devono  tener conto nelle scelte normative.

L’ampio Preambolo è funzionale alla indicazione dello scopo della Raccomandazione in esame, che̶ come si precisa nel relativo paragrafo ̶  mira alla adozione da parte degli Stati di «misure efficaci, appropriate e proporzionate per rafforzare i diritti di tutti gli indagati e imputati in procedimenti penali, che siano privati della libertà personale»: si vogliono rafforzare i diritti procedurali e nel contempo si vuole ribadire che il ricorso alla privazione di libertà deve essere extrema ratio.

Si noti che, come si chiarisce nel paragrafo dedicato alle «Definizioni», i principi accolti riguardano la privazione di libertà disposta da una autorità giudiziaria, non quella derivante da un provvedimento di polizia.

È interessante osservare che, in una prospettiva didascalica, la Raccomandazione in esame, dopo l’indicazione dello scopo,  provvede a fornire le definizioni concernenti il concetto di custodia cautelare e di misure alternative, intese come «misure meno restrittive della detenzione e alternative alla stessa»; i destinatari, cioè le persone private della libertà personale in custodia cautelare e le persone condannate in espiazione di pena detentiva; le strutture detentive, individuate in qualsiasi istituto penitenziario o altra struttura per la detenzione di persone private della libertà personale, in base alle definizioni date nella Raccomandazione.

Viene ribadita la definizione, accolta nelle carte internazionali, di minore, che viene identificato nella persona di età inferiore a 18 anni,nonché quella di giovane adulto, individuato nel soggetto di età compresa fra 18 e 21anni, e per le persone con disabilità viene ripresa poi testualmente la definizione utilizzata nell’art. 1 comma 2 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

La lettura della Raccomandazione evidenzia̶ come già si è ricordato ̶  principi espressi in molti documenti sovranazionali e, per quanto concerne il nostro Paese, nella Costituzione e in atti normativi, fra i quali il codice di procedura penale, le disposizioni sul processo penale a carico di minorenni (d.P.R.22 settembre 1988, n.448), l’ordinamento penitenziario(l. 26 luglio 1975, n. 354) e ancora la disciplina dell’esecuzione delle pene a carico di condannati minorenni (d.lgs. 2 ottobre 2018, n.121).

Si potrebbe allora dubitare della rilevanza della Raccomandazione o, peggio, considerarla del tutto inutile e superflua. In realtà, come ben viene sottolineato, è stata determinante nella scelta di adottare un tale documento la constatazione del divario assai consistente fra i principi espressi nelle legislazioni interne e le prassi instaurate nei singoli Paesi, e soprattutto hanno influito le statistiche davvero preoccupanti. Non si può dimenticare che tale divario era ben noto, tanto che già erano state adottate direttive in tema di diritti procedurali con lo scopo di rafforzare la fiducia degli Stati nei rispettivi sistemi di giustizia.

Il persistere del problema ha indotto la Commissione europea a commissionare alla “Agenzia per i diritti fondamentali”un documento istruttorio,nel quale sono riportati i termini di durata della custodia cautelare e di durata media effettiva della “pre-trial detention”.Ne risulta che la custodia cautelare è uno dei problemi più avvertiti e rilevanti del processo penale.

Infatti, se si escludono i Paesi che non prevedono termini di durata della custodia cautelare (quali ad es. Belgio, Cipro, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo), l’Italia spicca, con la Romania, per i termini più lunghi di custodia cautelare previsti dal codice di rito; la durata media della custodia è stata nel 2020 di circa 8,9 mesi nei Paesi del Consiglio d’Europa, mentre per l’Italia di 18,1 mesi (come in Bulgaria). E anche la percentuale delle persone in custodia cautelare è stata in Italia nel 2020 di poco inferiore al 30% e nel 2021 pari al 31,5 %.Per quanto concerne poi il tasso di sovraffollamento figura ancora l’Italia tra i Paesi con i tassi più elevati: 105,5 al gennaio 2021, peggio di noi solo la Romania (119,3), Cipro (110,5) Grecia (111,4) e Belgio (108,4).

Nonsi può non osservare che nel periodo considerato (gennaio 2021),i provvedimenti normativi adottati per evitare la diffusione nelle carceri del virus Sars Covid 19 e per conseguentemente limitare gli ingressi dallo stato di libertà avevano prodotto i loro effetti contenendo le presenze e che il sovraffollamento è oltremodo peggiorato nelle carceri italiane a causa dell’aumento sensibile di presenze rispetto al dato registrato nel 2021 (al 31 dicembre 2022 erano complessivamente 56196 i detenuti).

Lo studio ha poi preso in considerazione le condizioni detentive per verificare se e in quale misura siano attuati nelle singole legislazioni nazionali i principi espressi a livello europeo e internazionale e quanto le legislazioni interne siano effettivamente rispettate.

Se è pur vero che la raccolta dei dati non era funzionale alla redazione di classifiche, ma  ̶ secondo gli intenti ̶  a offrire elementi di informazione, specie laddove entrino in gioco questioni concernenti strumenti di riconoscimento reciproco (quali ad esempio il Mae), non sfugge come, tuttavia, la lettura dei dati e delle informazioni offra un quadro che si presta a inevitabili comparazioni tra le legislazioni dei singoli Stati e soprattutto tra legislazione e concreta applicazione.Al riguardo un’ulteriore spinta all’adozione della Raccomandazione è venuta dal numero elevato (81) di violazioni dell’art. 3 Cedu  commesse da 14 Stati membri del Consiglio d’Europa, tra cui la Romania (46), Bulgaria (9) Ungheria (6), nonché dell’art. 5 Cedu, seppur in numero meno rilevante (complessivamente 46) .

Per porre rimedio a una tale situazione, come già si è ricordato, la Commissione ha adottato la Raccomandazione in esame, la quale ribadisce nei «Principi generali» e nelle «Norme minime relative ai diritti procedurali» che la custodia cautelare è «misura di ultima istanza», cui ricorrere «solo se strettamente necessario» nei casi di pericolo di fuga, di rischio di recidiva, di inquinamento del materiale probatorio, di minaccia per l’ordine pubblico. Fuori da questi casi dovrebbero essere preferite misure alternative alla custodia, specie quando il reato sia punito con pena detentiva breve o quando l’autore del reato sia un minore.

Ne discende la sollecitazione rivolta agli Stati di prevedere una gamma ampia e articolata di misure quali quelle indicate dalla DQ  2009/829 GAI, recepita in Italia con d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36. Misure, che, comunque, nella Raccomandazione vengono indicate espressamente con formule lessicali molto generiche, e ciò al fine di un più facile recepimento nelle legislazioni interne. Si fa riferimento ad es. all’«obbligo di presentarsi quotidianamente o  periodicamente presso l’autorità giudiziaria o di polizia», all’«obbligo di sottoporsi a monitoraggio elettronico», all’«obbligo di risiedere ad indirizzo specificato con o senza condizioni sulle ore in cui essere presenti», o al contrario al «divieto di lasciare o raggiungere luoghi o zone specificati senza autorizzazione», al «divieto di incontrare» determinate persone senza autorizzazione, o ancora all’«obbligo di fornire o reperire garanzie finanziarie» purché compatibili con le risorse dell’indagato o dell’imputato.

Nelle ipotesi di adozione della custodia cautelare,  dovrebbe essere garantito il riesame periodico della sussistenza delle ragioni poste alla base del provvedimento,previa richiesta dell’imputato, o d’ufficio.

 

2. Particolare attenzione è dedicata alle condizioni detentive: si raccomanda agli Stati di assicurare a ciascun detenuto una superficie minima di almeno 6 m2 per le celle singole, e di almeno 4 m2 nelle celle collettive (come auspica del resto da tempo il CPT): la disponibilità di uno spazio inferiore ai 3 m2 «fa sorgere una forte presunzione di violazione dell’art. 3 Cedu», cioè di trattamenti inumani e degradanti. È evidente nella disposizione l’eco delle sentenze della Corte edu, che in più occasioni si è pronunciata sulla questione dello spazio minimo vitale e sui criteri per il relativo computo.

Si ribadiscono poi le previsioni generali concernenti la salvaguardia degli standard igienici espressi nelle Regole penitenziarie europee e nelle omologhe Regole Onu, la qualità e la quantità del vitto, che deve essere adeguato all’età, alle condizioni di salute, al lavoro svolto, e rispettoso della religione praticata e dei convincimenti culturali.

Di particolare rilievo sono le disposizioni relative alla assistenza sanitaria, che deve salvaguardare la salute fisica e mentale e che dovrebbe soddisfare gli stessi standard forniti dal sistema sanitario pubblico nazionale. Una assistenza sanitaria, diretta non solo a curare le patologie da cui sia affetta la persona nel momento della incarcerazione o che possano insorgere nel corso della detenzione, ma soprattutto tesa a impostare programmi di screening sia di malattie trasmissibili sia di quelle non trasmissibili,di vaccinazione e in generale di educazione sanitaria.

Particolare attenzione dovrebbe essere riservata al trattamento dei soggetti tossicodipendenti, alla salute mentale e alla prevenzione dei suicidi.

Assumono significativa rilevanza le disposizioni concernenti la sicurezza delle persone recluse: si raccomanda agli Stati di adottare tutte le misure necessarie a prevenire violenze e maltrattamenti commessi da altri detenuti e soprattutto qualsiasi forma di maltrattamento e di tortura ad opera del personale penitenziario.Il rispetto della dignità della persona è il bene oggetto della tutela di molti strumenti internazionali, riaffermato in queste previsioni.

Altrettanta rilevanza è attribuita ai criteri di assegnazione, che ricalcano quelli indicati nelle Regole europee e nelle Regole ONU per il trattamento dei detenuti: la scelta della struttura detentiva dovrebbe tener conto della vicinanza al luogo di abitazione o ad altri luoghi funzionali al percorso riabilitativo. Una particolare attenzione è dedicata alla assegnazione dei minori e dei giovani adulti (i soggetti, cioè, di età superiore a 18 anni ma inferiore a 21 anni), che si raccomanda vengano tenuti separati dagli adulti, purché ciò «sia compatibile con l’interesse superiore dei minori» che si trovino detenuti con gli infraventunenni.

Si tratta di previsioni già accolte nel sistema italiano, nell’art. 24 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272,e dirette a consentire la continuazione del percorso educativo del giovane adulto: percorso, che in caso di trasferimento in un istituto per adulti verrebbe esposto al rischio assai concreto di interruzioni.

 

3. La Raccomandazione dedica poi spazio ad alcune categorie di persone detenute che richiedono particolare attenzione, quali ad esempio le donne, delle quali si dovrebbero tenere presenti le esigenzespecifiche e differenti da quelle degli uomini, le persone straniere, alle quali dovrebbe essere garantita la traduzione degli atti e dei documenti in una lingua comprensibile, e alle quali dovrebbe essere segnalata la possibilità (prevista dalla DQ2008/909 GAI) di applicazione di misure cautelari e della esecuzione di pena nel Paese di origine o di interesse. E ancora sono presi in considerazione i minori e i giovani adulti, cui sono dedicate alcune previsioni concernenti i criteri di assegnazione.

Il principio dell’interesse superiore del minore viene riaffermato nelle disposizioni relative a «Misure speciali per i minori e i giovani adulti». Riprendendo la formulazione dell’art. 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, si raccomanda che l’interesse sia «considerato preminente in tutte le questioni relative alla detenzione» e che il regime detentivo debba garantire e preservare la «salute e lo sviluppo fisico mentale ed emotivo, il diritto alla istruzione e alla formazione, l’esercizio effettivo e regolare del diritto alla vita familiare e l’accesso a programmi di reinserimento nella società». Analoga attenzione deve essere rivolta ai giovani adulti, ai quali si dovrebbe applicare il regime detentivo previsto per i minorenni.

Spazio è dedicato poi alle persone affette da disabilità o da gravi patologie, alle quali deve essere garantita una assistenza adeguata comparabile con quella prestata dal servizio sanitario pubblico nazionale, nonché a quelle persone che potrebbero essere emarginate a causa del loro orientamento sessuale, della razza o origine etnica, delle convinzioni religiose. Nei confronti di tali soggetti si devono adottare misure volte a prevenire la commissione di violenze, di maltrattamenti, di abusi fisici, psicologici, sessuali ad opera del personale o da parte di altri detenuti,e motivati dalle cause sopra ricordate.

Al fine di rendere sempre più efficaci le previsioni a tutela delle persone detenute dovrebbero essere facilitati l’ingresso e le visite del Comitato per la prevenzione della tortura e dei meccanismi nazionali di prevenzione nonché le «ispezioni regolari di una autorità indipendente», che nel nostro Paese è rappresentata dal garante nazionale delle persone private della libertà personale e dalla rete dei  garanti territoriali.

 

4. La Raccomandazione si chiude con misure dedicate  alla radicalizzazione negli istituti penitenziarie con indicazioni dirette a contrastare tale fenomeno, in merito al quale gli Stati dovranno operare periodicamente una valutazione del rischio al fine di individuare il regime detentivo più appropriato in relazione alla pericolosità delle persone indagate o condannate per reati di terrorismo. Una valutazione che deve essere periodica così da rendere il regime adottato costantemente adeguato alla reale pericolosità.

La strategia di contrasto alla radicalizzazione riuscirà tanto più efficace quanto più il personale operante negli istituti penitenziari verrà sensibilizzato in ordine a questo tema  e riceverà una adeguata formazione e quanto più   verranno attuate misure e «programmi di riabilitazione,  deradicalizzazione e disimpegno in vista della liberazione». La quale, tuttavia, non dovrebbe rappresentare il limite temporale di intervento degli Stati, che anzi dovrebbero portare avantiil loro impegno anche oltre questo momento  con programmi specifici diretti a «promuovere il reinserimento dei condannati per reati di terrorismo e estremismo violento».

 

5. Come si è ricordato, molti dei principi e delle misure suggerite sono già espressi in documenti internazionali e sono contenuti in leggi nazionali, così che potrebbero apparire superflui. L’intento della Raccomandazione è quello di indurre gli Stati ad applicazioni sempre più diffuse di tali principi, impedendo lo iato tra norma scritta e norma applicata, e omogenee, così da ridurre le differenze ancora troppo marcate nella disciplina delle misure detentive. E soprattutto, come si legge nell’ampio Preambolo, si mira a «promuovere il rispetto della dignità umana, il diritto alla libertà, il diritto alla vita familiare, i diritti del minore, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, nonché la presunzione di innocenza e i diritti della difesa», e a innalzare il livello di tutela dei diritti riconosciuti, che non dovrebbe comunque mai essere inferiore a quello indicato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nella Carta fondamentale dell’Unione europea.

Non a caso la Raccomandazione si chiude con l’invito rivolto agli Stati a relazionare sul recepimento dei principi espressi nella stessa Raccomandazione, proprio al fine di consentire alla Commissione di aggiornare il quadro dei provvedimenti adottati da ogni singolo Stato, di valutare il livello di garanzie raggiunto in concreto e presentare entro 24 mesi dalla adozione del documento una relazione al Parlamento e al Consiglio europeo.

 

A cura di Laura Cesaris (Professoressa presso l’Università di Pavia)

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