Il diritto del padre detenuto di riconoscere il figlio naturale giustifica il giudizio di ottemperanza ex art. 35-bis o. p. Riflessioni a margine di una recentissima ordinanza del magistrato di sorveglianza di Palermo

L’ordinanza in oggetto, datata 21 ottobre 2022, trae origine da un permesso di necessità di particolare urgenza, previsto dall’art. 30, co. 2 ord. pen., concesso dal Magistrato di Sorveglianza di Palermo al fine di permettere ad un detenuto di disporre «del tempo necessario all’espletamento di tutte le operazioni amministrative necessarie al riconoscimento della figlia», considerando i rischi connessi alla drammatica e urgente situazione familiare dei genitori, legata a potenziali problemi burocratici e giudiziari conseguenti al mancato riconoscimento, evidenziati dall’avvocato di fiducia in una memoria.

A sua volta, il rilascio del permesso si fondava sull’indisponibilità degli addetti del Comune a recarsi presso la casa circondariale in cui era detenuto l’interessato a causa di una sospensione, per ragioni giuridiche ed epidemiologiche, dell’attività amministrativa finalizzata al riconoscimento di figli da parte di genitori detenuti. A posteriori, l’esecuzione del permesso veniva vanificata dal mancato espletamento della pratica di riconoscimento per un’emersa incongruenza tra il luogo di residenza dichiarato al momento della nascita dalla madre della bambina e quello risultante agli atti del Comune.

Per i suesposti motivi, il magistrato di sorveglianza ha riconosciuto la lesione del diritto, ritenuto «primario costituzionalmente garantito», del padre detenuto di riconoscere il figlio naturale (nonché di quest’ultimo di essere riconosciuto dal padre naturale) senza che vi sia motivo di indugio e di ostacolo derivante dalla condizione detentiva. Di conseguenza, il magistrato ha impartito agli Uffici del Comune una disposizione vincolante ed immediatamente esecutiva di recarsi presso l’istituto penitenziario per raccogliere la volontà del detenuto di riconoscere la figlia, con l’avvertenza che, in caso di mancata, impuntuale o intempestiva esecuzione dell’ordine, si sarebbe potuto procedere alla sua ottemperanza coattiva con la nomina di un commissario ad acta.

Ciò è stato possibile sulla base dell’art. 69, ord. pen., che attribuisce al magistrato di sorveglianza il potere di impartire «disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati» (comma 5) e quello di provvedere sui reclami dei detenuti concernenti le medesime violazioni (comma 6, lett. b).

Grazie a questa disposizione è stata disegnata una figura di organo garante” della tutela dei diritti dei soggetti sottoposti al trattamento penitenziario, con l’introduzione di un modello di reclamo giurisdizionale, previsto all’art. 35-bis, avente la finalità precipua di rafforzare il controllo di legalità sulla effettiva gestione dell’esecuzione penitenziaria e di rimuovere le situazioni tali da violare i diritti del detenuto, prevedendosi altresì uno specifico rimedio mutuato sullo schema del giudizio amministrativo di ottemperanza.

L’art. 35-bis indica la forma procedimentale di tale tutela giurisdizionale, che si sviluppa, in caso di accoglimento del reclamo, in un ordine impartito dal magistrato all’amministrazione interessata di «porre rimedio» all’accertata violazione del diritto inciso. Il disposto normativo configura il dictum giudiziale nei termini di un ordine concernente un facere generico, lasciando all’amministrazione un margine di discrezionalità tecnica sulle modalità organizzative mediante le quali ottemperare all’ordine del giudice, se pur nei termini temporali stabiliti dall’ordinanza.
A monte, l’ordine di porre rimedio presuppone l’accertamento da parte del magistrato circa la sussistenza dell’attualità del pregiudizio, da verificarsi sia al momento della presentazione del reclamo sia al momento della decisione, nonché della sua gravità, la quale, come si evince dalla giurisprudenza europea, deve attingere ad una soglia almeno minima affinché sorga il diritto alla riparazione (Corte e.d.u., sez. II, 16/07/2009, Sulejmanovic c. Italia, n. 22635/03). Questo secondo requisito implica necessariamente una valutazione di natura discrezionale da parte del giudice, che dovrà tenere conto, da un lato, del profilo oggettivo del pregiudizio subìto dal detenuto con riguardo al rango del diritto inciso, all’intensità della lesione e alla durata della medesima, e, dall’altro, dell’aspetto soggettivo, considerando l’età, il genere, le condizioni di salute e personali dell’interessato.

Il tenore delle richiamate disposizioni deve inserirsi entro una concezione ampia dei diritti assicurati alla persona detenuta, anche alla luce della modifica, sottolineata dall’ordinanza in oggetto, apportata al comma 5 dello stesso art. 69, ord. pen., che ha espunto dalla dizione normativa l’inciso «nel corso del trattamento» rispetto all’esercizio del controllo di legalità attribuito alla magistratura di sorveglianza, con un intervento che è stato inteso in una prospettiva di garanzia verso una moltitudine variegata di posizioni soggettive tutelate.

La giurisprudenza si è confrontata da tempo con l’esigenza di una ricognizione dell’area di operatività dell’istituto introdotto con l’art. 35-bis, per quanto concerne la selezione delle posizioni soggettive tutelabili, e ha enucleato, attraverso un approccio casistico tipico dell’intervento giudiziale, singole ipotesi di diritti dei detenuti (per esempio, in tema di colloqui visivi e telefonici). Criticità, sul piano applicativo, si osservano con riguardo tanto al pericolo di una proliferazione incontrollata di ipotesi di “violazioni di diritti”, a seguito dell’apprezzamento discrezionale della magistratura di sorveglianza, quanto al rischio di invasione dei provvedimenti decisori ed esecutivi rispetto alla sfera di competenze proprie dell’Amministrazione.

Per superare questo delicato profilo, occorre considerare che già la legge di ordinamento penitenziario e il suo regolamento attuativo enunciano una serie articolata di diritti strettamente connessi all’individuo in quanto persona umana, perciò fondamentali, tali da non poter essere annichiliti neanche nel corso dell’esecuzione penale. Di conseguenza, sembra potersi individuare un confine tra le posizioni tutelabili e alcune ipotesi escluse dalla tutela giurisdizionale, perché marginali o prive dei presupposti di legge. Resterebbero, così, al di fuori dell’ambito di applicazione del reclamo ex art. 35-bis: le aspettative di mero fatto; le violazioni meramente formali della normativa che non abbiano arrecato alcun pregiudizio all’interessato; le lesioni che non possiedono i caratteri dell’attualità e della gravità; le fattispecie che afferiscono a posizioni soggettive che sorgono e si sviluppano nell’ambito di rapporti estranei all’esecuzione penale, i quali trovano già protezione nell’ordinamento (ad esempio, la tutela del detenuto lavoratore alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria); le situazioni soggettive che vengono in considerazione nel momento applicativo degli istituti propri dell’esecuzione penale e penitenziaria (ad esempio, la concessione dei benefici penitenziari).

Pertanto, pare da ritenersi corretta la decisione del magistrato di sorveglianza di attivare l’iter procedimentale previsto per il reclamo giurisdizionale, in quanto la situazione familiare del detenuto interessato, peraltro talmente attuale e grave da giustificare la concessione del permesso eccezionale di uscire dal carcere, era qualificabile in termini di diritto soggettivo inciso da un esercizio illegittimo della potestà amministrativa, non rilevando che la violazione fosse eventualmente imputabile all’amministrazione comunale anziché all’amministrazione penitenziaria, atteso che l’articolato normativo individua quale contraddittore necessario del reclamo qualsiasi amministrazione interessata dal vulnus denunciato.

Ai sensi del primo comma dell’art. 35-bis, il magistrato di Palermo ha fissato la data dell’udienza per l’integrazione del contraddittorio e per la trattazione della causa nel merito, citando il detenuto, assieme al suo difensore di fiducia, il pubblico ministero, l’amministrazione comunale, quale contraddittore necessario, e l’amministrazione penitenziaria. La disposizione in esame, attraverso un onere di avviso aggiuntivo rispetto alla disciplina generale del procedimento di sorveglianza (l’art. 666, co. 3 c.p.p. prevede la notifica dell’avviso di udienza «alle parti e ai difensori»), ha inteso rimarcare l’importanza della presenza davanti al magistrato di sorveglianza dell’amministrazione controparte del reclamante e, soprattutto, stimolarne una partecipazione attiva ed effettiva nel giudizio, attraverso l’esposizione delle proprie osservazioni e richieste comparendo direttamente in udienza o, se non ritenga di comparire, mediante un contraddittorio cartolare tramite il deposito delle medesime presso la cancelleria del magistrato di sorveglianza.

In attesa dello sviluppo e dell’esito in concreto del procedimento di ottemperanza, regolato dal richiamo agli artt. 666 e 678 c.p.p., si conclude la presente disamina osservando che il meccanismo disegnato dalla legge penitenziaria dimostra di voler realizzare un contemperamento tra l’esigenza di tutelare integralmente un fondamentale diritto della persona detenuta, illegittimamente pregiudicato, e la necessità di riservare all’apprezzamento dell’autorità amministrativa la scelta circa le modalità organizzative più congrue per conformarsi al dettato giudiziale.

Riferimenti bibliografici

F. Cassibba, Parità delle parti ed effettività del contraddittorio nel procedimento di sorveglianza, in Dir. Pen. Contemporaneo, 2012.

F. Fiorentin, Il reclamo “giurisdizionale” per la tutela dei diritti delle persone detenute e internate, in Rassegna penitenziaria criminologica, 2014.

F. Viganò, La Cassazione sul risarcimento del danno da lesione dei diritti dei detenuti: un importante seguito alla sentenza Torreggiani c. Italia della Corte EDU, in Dir. Pen. Contemporaneo, 2013.

Consiglio Superiore della Magistratura, Risoluzione in ordine a soluzioni organizzative e diffusione di buone prassi in materia di magistratura di sorveglianza” (delibera del 24 luglio 2013).

a cura di Mariù Soldani, Dott.ssa in Giurisprudenza presso l’Università di Pisa

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