Una nuova questione di legittimità costituzionale fa tremare il rigido art. 4-bis O.P.
Il detenuto per reati ostativi potrà accedere alla semilibertà?
Ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze del 13.09.2022, Presidente Venturini Maria Letizia
Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze, seguendo le orme della sentenza “pilota” n. 253/2019 della Suprema Corte [con la quale, limitatamente all’istituto del permesso premio è venuto meno il rigido assioma collaborazione-rescissione di legami con la criminalità organizzata/non collaborazione-mantenimento dei legami], ha sollevato questione di legittimità costituzionale rispetto alla preclusione assoluta di cui all’art. 4 bis, comma 1 e 1 bis, legge n. 354/1975 per l’accesso alla semilibertà, contestando la violazione delle norme costituzionali di cui agli artt. 3 e 27 nonché sotto il profilo di cui all’art. 4 Cost.
Come è ben noto, nei confronti dei detenuti per i delitti indicati dall’art. 4 bis, comma 1 e 1 bis o.p., il regime attualmente vigente preclude in maniera assoluta l’ammissione alla semilibertà in assenza di collaborazione con la giustizia o di accertamento dell’impossibilità-inesigibilità della stessa, anche se il programma di trattamento sia sufficientemente avanzato e seppure sia stata accertata l’insussistenza di attuali legami con la criminalità organizzata e siano stati acquisiti elementi per escludere un concreto pericolo di ripristino degli stessi.
In altri termini, la collaborazione e per converso la non collaborazione, a prescindere da ogni altro fattore, costituiscono gli unici elementi attorno a cui valutare la possibilità per il detenuto per delitti ostativi di avere accesso al regime di semilibertà.
Le fondamenta di questa norma, a parere del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, vacillano a causa di un insanabile contrasto con i superiori principi di cui agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost., rendendo non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale.
Invero, alla luce della recente giurisprudenza di costituzionalità rappresentata dalla sentenza n. 253/2019, neppure con riferimento alla disciplina della semilibertà appare più sostenibile il sillogismo per cui la mancata collaborazione con la giustizia da parte del detenuto implica automaticamente la persistente pericolosità sociale del predetto.
Appare irragionevole che la finalità retributiva e repressiva della pena – rappresentata dal dettato di cui all’art. 4 bis, comma 1 e 1 bis o.p. – prevalga rispetto ad una finalità rieducativa, al principio di proporzione e di individualizzazione della pena nonché di prevenzione alla commissione di ulteriori reati.
Ulteriormente, l’ordinanza in esame mette in dubbio la legittimità costituzionale del regime prima richiamato anche rispetto al principio espresso dall’art. 4 della Costituzione.
Difatti, precludendo al condannato – in maniera totale e assoluta – di accedere al lavoro all’esterno, inevitabilmente viene vanificato il “dovere” del singolo di svolgere un’attività funzionale al progresso sociale.
Tuttavia, anche volendo paradossalmente prescindere dal dettato costituzionale di cui all’art. 4 Cost. e ragionando in un’ottica di progressione trattamentale, è indubbio che lo svolgimento di un’attività lavorativa al di fuori dalle mura carcerarie responsabilizzi il condannato, stimolandolo a proseguire sulla “retta via” segnata dal percorso di risocializzazione. Viceversa, precludere tale possibilità non solo non contribuisce ad alcunché sul piano della difesa sociale, ma crea anche un forte ostacolo alla rieducazione del detenuto.
Il filo conduttore delle precedenti valutazioni è, poi, rappresentato dalla ratio della semilibertà rispetto al detenuto per reati ostativi, in quanto tale misura alternativa, oltre a costituire una vera e propria progressione del trattamento per il condannato, consente anche una graduale verifica esterna in funzione special-preventiva.
Appare del tutto incontrovertibile che concedere spazi di libertà all’interno di un programma di trattamento individualizzato consenta, in parte, di mantenere un forte grado di vigilanza sul soggetto e in parte rappresenti una spinta propulsiva al cambiamento, tale da costruire rigide fondamenta per il definitivo reinserimento sociale, il quale, se verrà avviato con buoni presupposti, continuerà a svilupparsi, con ampie possibilità, anche dopo il termine della pena.
In definitiva, non può che domandarsi come sia possibile consentire al detenuto per reati ostativi di fruire dei permessi premio senza mai essere ammesso alla semilibertà, atteso che tale ultima preclusione ostacola la funzione intrinseca dei permessi premio impedendo al detenuto il proseguimento di un processo, vigilato ed efficace, di risocializzazione.
Qui il testo dell’ordinanza.
A cura di Arianna Stefani