N.B. e N.G., di nazionalità georgiana, entrarono irregolarmente in Francia (insieme al loro figlio K.G.) nel 2019. Presentarono domanda di asilo che, però, fu rigettata dall’Office français de protection des réfugiés et apatrides (OFPRA). A seguito di questa decisione, la prefettura delle Ardenne impose loro di lasciare il territorio francese, ma a questa prescrizione non venne mai dato seguito volontariamente da parte dei destinatari. La stessa prefettura dispose, a questo punto, di sottoporre N.B. e N. G. a rétention administrative e il 6 novembre 2020 furono condotti, insieme con il figlio (dell’età di 8 anni), nel centro di trattenimento di Metz-Queuleu. Pochi giorni dopo (il 9 novembre) l’autorità giudiziaria competente (il juge des libertés et de la détention del tribunale di Metz) autorizzò il prolungamento della rétention per una durata di ventotto giorni; questa decisione venne poi confermata dal magistrat délégué par le premier président de la cour d’appel. N.B. e N.G. decidono, a questo punto, di adire la Corte europea con la richiesta di una misura cautelare ai sensi dell’art. 39 del Regolamento e, in adesione all’istanza presentata dai ricorrenti, i giudici di Strasburgo chiedono al Governo francese di porre termine alla rétention administrative, con una decisione adottata il 13 novembre. Di fatto, però, non viene dato seguito a questa statuizione da parte della autorità francesi. Della questione è investito, dunque, il juge des référés presso il tribunale amministrativo di Nancy, che, con un’ordinanza emessa il 19 novembre, ingiunge alla prefettura di porre fine al trattenimento; ciò che avviene il giorno immediatamente successivo.
Nell’esaminare nel merito la questione, la Corte è chiamata a decidere se nella vicenda in discorso (che abbiamo sinteticamente ricostruito) possa ravvisarsi anzitutto una violazione dell’art. 3 della Convenzione. A questo scopo, i giudici, anche richiamando uno specifico precedente (M.D. et A.D. c. France n° 57035/18, §§ 63, 22 luglio 2021), ricordano anzitutto come in linea di massima l’assoggettamento a rétention administrative di giovani minori d’età dia adito a questioni del tutto particolari, stante la loro condizione – e indipendentemente dalla circostanza che siano accompagnati o meno – di soggetti particolarmente vulnerabili, che ne impone une prise en charge assolutamente speciale in quanto capace di valorizzare adeguatamente la loro età e la loro mancanza di autonomia (§ 46). Nello specifico, poi, quando si abbia a che fare con minori accompagnati la Corte ritiene (come già chiarito in altre decisioni: R.M. et autres c. France, n° 33201/11, § 70, 12 luglio 2016 e S.F. et autres c. Bulgarie, n° 8138/16, §§ 78-83, 7 dicembre 2017) che per apprezzare un’eventuale violazione della previsione posta a protezione della dignità della persona debba procedersi a una valutazione congiunta e dinamica (en mobilissant) di tre elementi: l’età del giovane; l’adeguatezza o meno dei luoghi in relazione alle loro specifiche necessità e, infine, la durata complessiva del trattenimento (§ 46). Passando, poi, a esaminare le questioni sollevate dal caso di specie, i giudici di Strasburgo, in primo luogo, si preoccupano di ribadire (in coerenza con una precedente statuizione: A.B. et autres c. France n° 11593/12, § 110, 12 luglio 2016) come la circostanza che il minore fosse accompagnato dai genitori non determini assolutamente un’esenzione dall’obbligo per le autorità di proteggere il bambino, nonché di assumere tutte le iniziative necessarie per l’approntamento delle misure di natura positiva che discendono dal divieto proclamato nell’art. 3. Per la Corte, infatti, è opportuno tenere sempre presente che <<la situation de particulière vulnérabilité de l’enfant mineur est déterminante>> e, soprattutto, che questa condizione <<prévaut sur la qualité d’étranger en séjour irrégulier de son parent>> (§ 48). Con riguardo, poi, al parametro costituito dall’età del minore: se anche è fuori discussione che K.G. è più grande rispetto ad altri bambini per i quali la Corte in passato ha avuto modo di statuire – in condizioni analoghe – la violazione dell’art. 3, rimane il fatto, però, che un fanciullo dell’età di otto anni collocato nel contesto della rétention administrative cui sono assoggettati i genitori non può ritenersi in grado di sufficientemente comprendere l’esperienza che sta vivendo e in ogni caso continua a trovarsi in una condizione di particolare vulnerabilità.
A proposito del contesto in cui ha avuto luogo il trattenimento, la struttura di Metz-Queuleu – rilevano i giudici europei – è effettivamente fra quelle che sono abilitate ad accogliere famiglie. Tuttavia, come già era era stato documentato in una precedente decisione (A.M. et autres c. France, n° 24587/12, § 50, 12 luglio 2016), il cortile esterno della zona adibita alla ricezione dei nuclei familiari è separato soltanto per mezzo di <<un simple grillage>> dalla struttura che ospita le altre persone sottoposte a rétention. Non solo, ma, in base a quanto emerge dal rapporto redatto dal Côntroleur generale des lieux de privation de liberté (CGLPL) nell’ottobre del 2017 e acquisito dalla Corte, se anche sono rinvenibili all’interno della struttura alcune dotazioni pensate per neonati e bambini, il Centro di trattenimento di Metz-Queuleu, adiacente all’istituto penitenziario, si caratterizza per la sua <<dimension sécuritaire omniprésent>> (§ 49).
L’ultimo criterio da analizzare, a parere della Corte, è quello temporale. In proposito, viene rilevato, anzitutto, come l’organizzazione del Centro, benché si presenti come fattore importante nel generare stress e angoscia in una persona di giovane età, non si presti di per sé sola a essere apprezzata come idonea a superare quella soglia di gravità che è richiesta perché debba ritenersi violato il divieto sancito nell’art. 3 della Convenzione. Ma, come già puntualizzato nel caso A.M. et autres c. France, § 51, è indubbio che <<la répétition et l’accumulation>> degli effetti che, specie sul piano psichico ed emozionale, sono conseguenza di una <<privation de liberté>>, producono <<conséquences néfastes sur un enfant en bas âge>>, così da necessariamente oltrepassare quella soglia di gravità (§ 50). E’ il trascorrere del tempo che riveste, dunque, un’importanza decisiva a questi fini. Da questo punto di vista, è fuori discussione che le autorità francesi avessero cercato di procedere quanto più rapidamente possibile alla esecuzione del provvedimento di espulsione, così da ridurre al minimo i tempi del trattenimento, ed è anche vero che i genitori di K.G. si erano rifiutati di imbarcarsi sull’areo che era stato messo a loro disposizione per far ritorno in Georgia. Tutto ciò non assume alcun rilievo, però, ai fini dell’apprezzamento di una eventuale violazione dell’art. 3 nei riguardi di un minore accompagnato che sia stato assoggettato a un regime di trattenimento per un periodo troppo lungo (§ 51). E, nel caso di specie, la Corte ritiene che la rétention administrative di un bambino di otto anni che si è prolungata per quattordici giorni sia eccessiva alla luce di quanto imposto dal pieno rispetto del divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti (del resto, a una analoga conclusione era già pervenuta nel caso A.M. et autres c. France, laddove la durata della rétention era stata di soli sette giorni). E, da questo punto di vista, i giudici di Strasburgo ritengono che non possano andare esenti da specifici rilievi nemmeno le decisioni assunte dalla autorità giudiziaria francese. Nelle ordinanze emesse fra il 9 e il 12 novembre, infatti, i giudici, prima ancora di verificare la legalità dell’assoggettamento di N.B. e N.G. a un regime di trattenimento e di disporne il prolungamento fino a ventotto giorni, avrebbero dovuto farsi carico delle esigenze legate a un bambino in tenera età, considerato che in questa materia – anche alla luce di quanto espressamente previsto dall’art. L.551-1 III bis Code de l’entrée et du séjour des étrangers et droit d’asile – l’<<intérêt supérieur de l’enfant doit être une considération primordiale>>. Invece, deve constatarsi come il juge des libertés et de la détention del tribunale di Metz non abbia tenuto in alcun conto della presenza di K.G. e della sua condizione di bambino in tenera età e che, anche ammesso che il magistrat délégué par le premier président de la cour d’appel abbia preso in considerazione, invece, questa circostanza, di fatto non ne abbia adeguatamente valutato l’impatto nei suoi provvedimenti di conferma delle decisioni assunte dal primo giudice (§ 52).
La Corte conclude, dunque, nel senso che l’assoggettamento di K.G. a un regime di rétention administrative nel Centro di Metz-Queuleu si è sostanziato in un trattamento disumano ai sensi dell’art. 3 della Convenzione e la Francia deve essere conseguentemente condannata. Un’ulteriore decisione in tal senso consegue poi alla constatata violazione dell’art. 34, in forza del quale gli Stati aderenti hanno assunto l’impegno di non ostacolare in alcun modo l’esercizio effettivo del diritto al ricorso davanti ai giudici di Strasburgo. E, stando alla giurisprudenza costante della Corte, la mancata attuazione di una misura adottata in via provvisoria – ai sensi dell’art. 39 del Regolamento – si traduce in una violazione, per l’appunto, del precetto contenuto nell’art. 34 della Convenzione (§ 59). Nel caso di specie, il governo francese fu informato della decisione con cui veniva richiesto di mettere fine alla rétention administrative dei genitori di K.G. il giorno stesso in cui la misura era stata adottata (13 novembre), ma si risolse a soddisfare questa richiesta solo il 20 novembre, cioè otto giorni dopo (§ 63). Né, d’altra parte, è dato riscontrare la presenza di circostanze eccezionali che avrebbero potuto dar luogo, per le autorità francesi, a un difficoltà obbiettiva tale da impedire di conformarsi tempestivamente alla decisione assunta dalla Corte: come è espressamente attestato nell’ordinanza emessa dal juge des référés del Tribunale amministrativo di Nancy, dove si dà atto di come la prefettura delle Ardenne – incaricata di dare esecuzione alla misura disposta dalla Corte – non abbia mai prospettato la necessità di far fronte a pressanti esigenze di ordine pubblico nella gestione di questa vicenda (al di là del fatto che queste non potrebbero comunque costituire motivo per legittimamente rifiutare di dare esecuzione a una misura provvisoria) (§ 64).
Di seguito il testo della sentenza:
a cura del Professor Luca Bresciani, docente di diritto processuale penale e di diritto penitenziario presso l’Università di Pisa