La Suprema Corte di Cassazione ha osservato che nel caso di specie il Tribunale di Sorveglianza non aveva fatto ricorso alla preclusione di cui all’art. 58-quater, co. 2, Ord. pen., ma aveva respinto la richiesta di affidamento terapeutico per l’intervenuta revoca della medesima misura a seguito dell’arresto dell’odierno ricorrente per un grave delitto, per cui egli aveva riportato una condanna, non definitiva, alla pena di 4 anni di reclusione.
L’ordinanza in oggetto aveva posto l’attenzione su molteplici e rilevanti elementi di fatto, sulla base dei quali il Tribunale di Sorveglianza era pervenuto all’“autonoma valutazione” di una scarsa affidabilità del soggetto. Secondo la Corte di Cassazione, tale valutazione “si mantiene nei limiti di una fisiologica opinabilità di apprezzamento; e non appare sindacabile in sede di legittimità, essendo stata espressa con motivazione non manifestamente illogica, nemmeno in rapporto alla diversa decisione del Giudice della cautela, il quale ordinariamente dispone di una differente e meno completa piattaforma istruttoria rispetto alla magistratura di sorveglianza”.
I giudici di legittimità hanno inoltre evidenziato che l’art. 94, co. 4, del D.P.R. n. 309/1990 prevede che il Tribunale di Sorveglianza accoglie l’istanza solo se ritiene che il programma di recupero assicuri, anche attraverso le altre prescrizioni di cui all’art. 47, co. 5, Ord. Pen., la prevenzione del pericolo circa la commissione di altri reati. Pertanto, l’assenza del pericolo di recidiva non costituisce l’esito del percorso terapeutico, ma una condizione che deve ricorrere già durante il periodo di sottoposizione alla misura alternativa.
Qui il testo della sentenza.
A cura di Beatrice Paoletti