Come nel mito di Procuste, il letto dei detenuti continua a trovare di difficoltà di “adattamento” (alla giurisprudenza della Corte Europea) 1
La decisione in esame trae origine da una richiesta di concessione di rimedi risarcitori ai sensi dell’art. 35-ter o.p. che era stata avanzata dal condannato davanti al magistrato di sorveglianza di Massa, relativamente a più periodi di detenzione presso diversi istituti penitenziari (CC. Pesaro, CC. Pisa, CR. Massa). Il reclamo – come chiarito dall’ordinanza in oggetto (clicca per leggere l’ordinanza) – era stato rigettato, con riguardo alla detenzione presso CC di Pisa, perché l’interessato <<aveva sempre goduto di uno spazio fra i 3 ed i 4 metri quadrati>> e, <<avendo riguardo al regime aperto, gli era stata garantita un’adeguata libertà di locomozione>>. Al contrario, il giudice di “primo grado” aveva rilevato <<la detenzione in uno spazio pro capite inferiore ai 3 mq. a Massa>>, contestualmente, ritenendo, peraltro, la sussistenza di <<fattori compensativi in grado di superare la lesione del diritto (quali il regime aperto, la brevità della permanenza e la possibilità di accedere alle attività trattamentali)>>. Niente, infine, aveva statuito in merito alla detenzione a Pesaro.
È evidente come il contesto in cui si muove la decisione del Tribunale di Genova coinvolge, dunque, alcuni dei temi che continuano ad alimentare un contrasto giurisprudenziale non ancora definitivamente risolto.
Superficie minima e Art. 3 CEDU secondo la giurisprudenza della Corte Europea
Per capire a fondo la questione, però, è necessario fare un passo indietro nel tempo e ricostruire la giurisprudenza prodotta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in ordine al minimo di spazio che un detenuto deve avere a disposizione affinché l’esecuzione della misura carceraria sia conforme al canone di umanità.Possiamo partire dal 2009 quando, con la sentenza Sulejmanovic c. Italia, i Giudici di Strasburgo hanno ritenuto esistente una automatica violazione dell’art. 3 CEDU laddove i detenuti avessero a disposizione uno spazio pro capite inferiori a 3 mq, pur non potendo, la Corte, <<quantificare, in modo preciso e definitivo, lo spazio personale che deve essere allocato ai singoli detenuti in ossequio alla Convenzione>> (Corte EDU, 16 luglio 2009, Causa Sulejmanovic c. Italia, § 40). La questione è stata ripresa con la Sentenza Torreggiani e altri c. Italia e, ancora una volta, è stata dichiarata la violazione dell’art. 3 CEDU in presenza di uno spazio pro capite inferiore a 3 mq. Con tale pronuncia la Corte ha indicato al nostro legislatore la necessità di introdurre nell’ordinamento rimedi preventivi e compensativi in grado di garantire <<realmente una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario in Italia>> (Corte EDU, 8 gennaio 2013, Causa Torreggiani e altri c. Italia, § 99), ritenendo non sufficienti i rimedi ex artt. 35 e 69 della Legge sull’ordinamento penitenziario. In risposta al monito della Corte sono stati introdotti nella Legge appena citata gli artt. 35-bis e 35-ter. Ad essere maggiormente rilevante ai fini della trattazione è quest’ultima norma che consente a un soggetto detenuto in condizioni tali da violare l’art. 3 CEDU di proporre reclamo, a fini risarcitori, al magistrato di sorveglianza. È sembrato, dunque, che la Corte ponesse una sorte di “presunzione assoluta” in forza della quale uno spazio individuale inferiore a 3 mq costituisce, automaticamente, una violazione dell’art. 3 CEDU. Tuttavia, le cose sono cambiate con la sentenza Mursic c. Croazia emanata dalla Grande Camera nel 2016. A partire da questa pronuncia, infatti, la violazione dell’art. 3 CEDU non sarebbe di per sé integrata in caso di mancato rispetto della soglia minima prima individuata, piuttosto, al fine di stabilire se le condizioni detentive di un soggetto siano disumane e degradanti concorrerebbero altri fattori. Nel caso di specie, la Camera ha ritenuto che, sebbene per <<brevi periodi occasionali>> il ricorrente avesse avuto a <<disposizione poco meno di 3 mq di spazio personale>> (Grande Camera, 20 ottobre 2016, Causa Muršić c. Croazia, §77), le <<condizioni di detenzione dell’interessato non avevano raggiunto il livello di gravità necessario per poter qualificare il trattamento che aveva subito come disumano o degradante ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione>> dal momento che <<la detenzione del ricorrente si era accompagnata a una libertà di movimento sufficiente nel carcere>> (Grande Camera, 20 ottobre 2016, Causa Muršić c. Croazia, §78). In altre parole, il mancato rispetto della soglia minima di 3 mq fa nascere una forte presunzione 2 di violazione dell’art. 3, tuttavia, potrebbero esistere altri aspetti delle condizioni della detenzione che, tutti insieme, sono in grado di vincere tale presunzione. Quali sono questi fattori compensativi della mancanza di spazio personale? La Grande Camera ne individua tre. In primo luogo ritiene che i periodi di mancato rispetto dello spazio minimo obbligatorio debbano essere <<brevi, occasionali e minori>>. In secondo luogo, il detenuto deve avere <<una libertà di movimento sufficiente fuori della cella e ad attività fuori cella adeguate>>. Infine, l’Istituto deve offrire <<condizioni di detenzione dignitose>> e non deve essere soggetto <<ad altri elementi ritenuti circostanze aggravanti delle cattive condizioni di detenzione>> (Grande Camera, 20 ottobre 2016, Causa Muršić c. Croazia, §138). La sentenza continua precisando che, invece, laddove lo spazio personale a disposizione del detenuto fosse compreso tra i 3 e i 4 mq, si verificherebbe una violazione dell’art 3 CEDU solo in presenza di <<altre cattive condizioni materiali di detenzione>> che vengono puntualmente indicate: <<la mancanza di accesso al cortile o all’aria e alla luce naturale, la cattiva aerazione, una temperatura insufficiente o troppo elevata nei locali, un’assenza di riservatezza nelle toilette o delle cattive condizioni sanitarie e igieniche>> (Grande Camera, 20 ottobre 2016, Causa Muršić c. Croazia, §139).
Sezioni Unite, sentenza n. 6551 del 2021
Una volta chiarito che la sussistenza della violazione dell’art. 3 CEDU non dipende dalla valutazione di un unico fattore quantitativo ma da una valutazione multifattoriale, rimane da risolvere un ulteriore problema circa le modalità di calcolo dello spazio personale minimo. Questo aspetto ha generato un ampio dibattito in giurisprudenza e ha provocato l’intervento delle Sezioni Unite (sent. 6551/2021). L’ordinanza di remissione sottolineava proprio tale contrasto giurisprudenziale, evidenziando sia la presenza di una concezione lorda della superficie, <<che prescinde dalla presenza della mobilia>> (S.U. Pen. 19 febbraio 2021, n. 6551, par. 3), sia l’esistenza di un indirizzo che, al contrario, detraeva dalla superficie lorda lo spazio occupato da tutti gli arredi, senza operare alcuna distinzione. Inoltre, a seguito della sentenza Mursic c. Croazia, è emerso un nuovo orientamento che distingueva tra arredi tendenzialmente fissi e arredi facilmente rimovibili, i soli a non rilevare nel calcolo. La Grande Camera, infatti, con tale pronuncia, ha escluso dal calcolo lo spazio occupato dai sanitari, mentre ha incluso quello occupato dai mobili e riteneva importante determinare se i detenuti avessero avuto <<la possibilità di muoversi normalmente nella cella>> (Grande Camera, 20 ottobre 2016, Causa Muršić c. Croazia, §114). Avuto riguardo dei due passaggi della sentenza Mursic c. Italia (<<il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili>> e <<l’importante è determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella cella>>), le Sezioni Unite hanno ritenuto che una interpretazione <<separata delle proporzioni renderebbe il secondo parametro (…) assai generico e di difficile applicazione da parte del magistrato di sorveglianza>>. Al contrario, <<una lettura combinata delle due proposizione permette di attribuire rilievo, ai fini della possibilità di movimento in una stanza chiusa, quale è la cella, ad un armadio fisso oppure ad un pesante letto a castello che equivalgono ad una parete>> (S.U. Pen. 19 febbraio 2021, n. 6551, par. 16), in questo modo il libero movimento del detenuto è limitato (rectius, impedito) tanto dalle pareti quanto dagli arredi che non possono essere spostati 3. Sulla base di questa considerazioni la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: <<Nella valutazione dello spazio minimo di tre metri quadrati si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello>> (S.U. Pen. 19 febbraio 2021, n. 6551, par. 18). Bisogna precisare che con questa sentenza la Cassazione ha risposto anche a un altro interrogativo: i c.d. fattori compensativi operano solo quando lo spazio individuale a disposizione per il detenuto è compreso tra 3 e 4 mq, oppure, opera anche in caso di accertata violazione dello spazio minimo? In altre parole, la presenza dei fattori compensativi è tale da escludere la violazione dell’art 3 CEDU in caso di mancato rispetto dello spazio minimo? Al termine delle sue valutazioni la Corte ha concluso nel senso che: <<i fattori compensativi (…) possono permettere di superare la presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati; nel caso di disponibilità di uno spazio individuale fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fattori compensativi, unitamente ad altri di carattere negativo, concorrono alla valutazione unitaria delle condizioni di detenzione richiesta in relazione all’istanza presentata ai sensi dell’art. 35-ter ord. pen.>> (S.U. Pen. 19 febbraio 2021, n. 6551, par. 22).
Giurisprudenza a confronto: la questione aperta del letto singolo
Le Sezioni Unite, quindi, hanno stabilito chiaramente che, nel calcolo dello spazio minimo disponibile per il detenuto, deve essere detratta la superficie occupata dal letto a castello. Tuttavia, come notato da successive decisioni della Cassazione, l’organismo apicale della Corte non sembra essersi pronunciato <<in modo altrettanto chiaro in ordine alla computabilità, o meno, nello spazio detentivo minimo pro-capite, ai fini dell’applicazione dell’ art. 3 CEDU, della superficie occupata dal letto singolo>> (Cass. Pen., sez. I., 4 maggio 2023, n. 18760, par. 5). Di conseguenza, rimane irrisolto il contrasto giurisprudenziale su questo punto.
In questa sede si intendono segnalare i due orientamenti opposti emersi in giurisprudenza, evidenziando che l’ordinanza annotata in apertura si inserisce proprio all’interno di questa contrapposizione.
Secondo una prima corrente interpretativa nel calcolo della superficie individuale, dovrebbe essere sottratta anche l’area occupata dal letto singolo: il fatto che le Sezioni Unite abbiano indicato la necessità di detrarre lo spazio occupato dal letto a castello, non esclude la possibilità di detrarre anche la superficie occupata dai letti singoli (Cass. Pen., sez. I., 4 maggio 2023, n. 18760 che al par. 5 richiama Cass., Sez. I Pen.,11 maggio 2022, n. 18681). Infatti, come sostengono le sezioni civili della Suprema Corte, sebbene il letto singolo possa essere utilizzato dal detenuto <<per il riposo e l’attività sedentaria>>, il suo movimento risulterebbe, comunque, compromesso, poiché <<tali funzioni organiche vitali sono fisiologicamente diverse dal “movimento”, il quale postula, per il suo naturale esplicarsi, uno spazio ordinariamente “libero”>> (Cass. Civ., Sez. VI, ord., 18 febbraio 2022 n. 5441). Nel 2023 la Sezione I ha analizzato le parole utilizzate dalle Sezioni Unite quando hanno fatto riferimento agli <<arredi tendenzialmente fissi al suolo>> e ne hanno ricavato una “categoria intermedia” tra arredo fisso e arredo mobile, che va oltre la <<dicotomia arredo mobile-arredo fisso>>. Secondo l’interpretazione dei Giudici tale categoria intermedia si riferisce ad arredi mobili che possono essere spostati da un punto all’altro della cella ma non con facilità. La sentenza delle Sezioni Unite equiparerebbe <<funzionalmente>> gli arredi fissi agli arredi mobili, <<ma non facilmente trasportabili>>, poiché, <<al pari di questi ultimi, essi limitano in modo significativo il libero movimento dei detenuti all’interno della cella>>. Applicando questo ragionamento, il letto singolo rientrerebbe all’interno di questa categorie intermedia e, in qualità di arredo tendenzialmente fisso, dovrebbe essere <<escluso dalla superficie utile a soddisfare la primaria esigenza di movimento dei soggetti ristretti>> (Cass. Pen., sez. I., 4 maggio 2023, n. 18760 par. 10).
Di diverso avviso è l’ordinanza qui pubblicata. Il tribunale di Sorveglianza di Genova ha aderito alle conclusioni cui è pervenuta la sentenza n. 32581 del 2023 che, soffermandosi sulla statuizione di diritto della pronuncia emessa dalle Sezioni Unite, ne ha ricavato che <<lo spazio occupato dal letto singolo non va decurtato dalla superficie della cella, poiché la forma dell’oggetto nella sua proiezione verticale non ostacola completamente o prevalentemente i movimenti della persona in tale spazio come una “parete”>> (Cass. Pen., sez. I, 26 luglio 2023 n. 32581, par. 2.2). Il letto a castello occupa uno spazio verticale che ostacola i “normali” movimenti del detenuto e che impedisce attività diverse dal riposo. Il Collegio non dà rilevanza alla <<finalità specifica di tutti i movimenti possibili di una persona in stato di libertà, come quello di camminare o fare sport>>, ma solo ai <<movimenti destinati agli scopi più ricorrenti di una persona in stato di detenzione>> (Cass. Pen., sez. I, 26 luglio 2023 n. 32581, par. 2.5). Questo filone giurisprudenziale considera il letto singolo come <<un arredo suscettibile di spostamento (anche temporaneo)>> e, come tale, non impedisce il <<movimento all’interno della camera detentiva>> (Cass., Pen., sez. I, 5 aprile 2022 n. 12774, par. 5). Inoltre, è vero che non consente il transito sulla superficie che occupa, tuttavia, <<oltre a garantire le esigenze di riposo, lettura e svago, (…) assicura (…) il movimento di braccia e di gambe, dunque i normali movimenti che gli esseri umani compiono in relazione al suo utilizzo>> (Tribunale di Sorveglianza di Genova, ord. n. 577 del 2024, pag. 2).
Note
- Si intende qui evocare il titolo di un interessante saggio del dott. Fabio Gianfilippi nella materia de qua: Il letto (di Procuste) e le Sezioni Unite-sent.n.6551/2021: il punto sugli spazi detentivi minimi e un’occasione per parlare ancora di giurisprudenza convenzionale e limiti all’apprezzamento del giudice nazionale, in Giustizia Insieme, 2 marzo 2021.
- La Corte ne aveva già fatto cenno nella sentenza Ananyev e altri c. Russia del 2012, affermando che i Giudici per dichiarare o meno la violazione dell’art. 3 CEDU avrebbero dovuto verificare la sussistenza di tre elementi (c.d. Ananyev test): <<a) ogni detenuto deve avere un posto letto individuale nella cella; b) ogni detenuto deve disporre di almeno tre metri quadrati di superficie; e c) la superficie complessiva della cella deve essere tale da consentire ai detenuti di muoversi liberamente tra i mobili>>.
- Non sarebbe adeguatamente garantita la libertà di movimento se nel calcolo della superficie minima fossero inclusi anche gli arredi che non possono essere spostati (come armadi o letti a castello), poiché questi limitano lo spazio disponibile per muoversi all’interno della cella. Pertanto, solo gli arredi che possono essere spostati con facilità dovrebbero essere compresi nel calcolo dello spazio minimo disponibile per ciascun detenuto. A sostegno di questa interpretazione, le Sezioni Unite hanno analizzato la traduzione ufficiale in francese della sentenza dove compare il termine meuble (En revanche, le calcul de la surface disponible dans la cellule doit inclure l’espace occupé par les meubles) che indicherebbe un oggetto che può essere spostato.