COMMENTO ALLA SENTENZA N. 443 del 10/01/2023 DELLA CASSAZIONE.
<<Uno dei primi istinti dei genitori, dopo aver messo al mondo un figlio, è quello di fotografarlo; e data la rapidità della crescita si rende necessario fotografarlo spesso, perché nulla è più labile e irricordabile d’un infante di sei mesi, presto cancellato e sostituito da quello di otto mesi e poi d’un anno; e tutta la perfezione che agli occhi dei genitori può avere raggiunto un figlio di tre anni non basta ad impedire che subentri a distruggerla la nuova perfezione dei quattro, solo restando l’album fotografico come luogo dove tutte queste fugaci perfezioni si salvino e giustappongano, ciascuna aspirando a una propria incomparabile assolutezza>> [ I. Calvino, “L’avventura di un fotografo”, in “Gli amori difficili”, Milano, 2019, pag. 45-46]
1.Con la sentenza in oggetto la Cassazione ha ritenuto legittimo il divieto opposto dall’Amministrazione penitenziaria, in quanto la possibilità di effettuare una sola fotografia nel corso di un anno – come prescritto dall’art. 17 della circolare n. 3676 del 2/10/2017 – <<non incide sul diritto soggettivo del detenuto al mantenimento delle relazioni familiari>>. La Corte ha accolto, infatti, il ricorso posto in essere dal Ministero della Giustizia avverso l’ordinanza del tribunale di sorveglianza di L’Aquila, disponendone l’annullamento senza rinvio.
In particolare, il tribunale aveva condiviso le conclusioni con cui il magistrato di sorveglianza di L’Aquila aveva accolto il reclamo presentato dal detenuto e, previa disapplicazione dell’art. 17 della circolare D.A.P. n. 3676 del 2/10/2017 (1) , intimato all’Amministrazione di consentire al reclamante la possibilità <<di effettuare almeno 4 fotografie l’anno con la propria figlia minore>>, anziché una sola foto, in quanto, per un verso, il minor numero consentito dall’art.17 cit. avrebbe leso il diritto al mantenimento delle relazioni familiari e, per l’altro, la maggiore determinazione del numero delle foto consentite non avrebbe accentuato il pericolo di veicolazione di messaggi da o verso l’esterno.
Né accogliendo l’istanza del detenuto ci sarebbe stato un pericolo di elusione del regime di isolamento. Allo scopo, il Tribunale suggeriva all’Amministrazione di prescrivere che l’invio di tutte le foto in un’unica tranche e che le pose di colui che intendeva farsi ritrarre dovessero essere “composte”.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale de L’Aquila ricorreva per cassazione il Ministero della Giustizia, secondo cui, il tribunale non avrebbe <<correttamente applicato la disposizione di cui all’art. 41 – bis Ord. Pen.>> e avrebbe trascurato altresì <<la circostanza che le limitazioni imposte in nessun modo avrebbero pregiudicato il diritto al mantenimento delle relazioni familiari del detenuto>>. Il ricorrente, inoltre, obiettava circa l’efficacia dei suggerimenti dispensati dal tribunale: in sostanza, <<il rischio concreto che il detenuto possa veicolare messaggi (…) non sembrerebbe neutralizzato dagli accorgimenti suggeriti>>. E, a sostegno delle proprie ragioni, il Ministero faceva riferimento a una recente pronuncia della stessa Corte su un caso analogo. (2)
Ad avviso della Suprema Corte il ricorso è fondato e merita accoglimento. I giudici di legittimità premettono, invero, che il magistrato di sorveglianza deve incanalare l’istanza del detenuto nelle forme del reclamo giurisdizionale, ex artt. 35-bis e 69-bis lett.b., solo allorquando venga previamente individuato un diritto soggettivo, che si reputi leso dalla condotta dell’Amministrazione. La Corte ritiene nel caso di specie, la disposizione di cui all’art 17 della Circolare del 2/10/17 riesca, invece, a contemperare le esigenze contrapposte, non essendo lesiva di alcun diritto. In altre parole, la limitazione derivante dall’applicazione della circolare <<non incide sul diritto soggettivo del detenuto all’affettività, bensì soltanto sulle modalità del suo esercizio, che restano affidate alla discrezionalità amministrativa>>.
3.Volendo svolgere brevi considerazioni sulla questione affrontata dalla sentenza in oggetto ed in particolare sul paventato pericolo di veicolazione di messaggi, è lo stesso art. 17 cit. che sembrerebbe assicurare le giuste precauzioni. Invero, esso, da un lato, dispone l’inibizione alla persona incaricata di scattare la foto da parte dell’Amministrazione di comunicare con il detenuto da ritrarre e, dall’altro, prescrive di adottare le misure adeguate per evitare che possano rientrare nel focus dell’obbiettivo <<zone dell’istituto o particolari locali>>. Non va poi dimenticato che la predetta fotografia si effettua <<durante la fruizione della porzione del colloquio visivo>>, che è comunque sottoposto alla videoregistrazione e all’ascolto. D’altronde, come evidenziato dal magistrato di sorveglianza, la probabilità di veicolare un messaggio sarebbe senza dubbio più alta durante la fruizione del colloquio – considerato che, come nel caso di specie (trattandosi di un minore degli anni 12), si svolge senza vetro divisorio – rispetto ai brevi momenti che si rendono necessari per l’effettuazione della fotografia.
Al di là dei rilievi che possono essere avanzati nel caso di specie alla decisione della Cassazione, è chiaro come essa si inserisca all’interno di una tematica dibattuta, che trova la sua origine nella l. 94/2009. Venuto meno il riferimento al profilo della “congruità” come oggetto del sindacato da parte del tribunale di sorveglianza investito della legittimità del provvedimento ministeriale, ci si continua a chiedere fino a che punto i giudici possano sindacare le scelte dell’Amministrazione riguardo alle modalità di attuazione del regime di rigore. Nel caso di specie, il rifiuto a consentire un maggior numero di foto, rispetto a quello previsto dalla suddetta Circolare, è stato reputato come non incidente sul diritto al mantenimento delle relazioni familiari e ricondotto alla mera regolamentazione dell’esercizio di quel diritto.
Tanto è bastato alla Corte per accogliere il ricorso dell’Amministrazione.
a cura di Stefano Colletti (Università di Pisa)
- Si riporta, per comodità, il testo dell’art. Art. 17 della Circolare :
Effettuazione fotografie all’interno dell’istituto di pena
È consentito a ciascun detenuto/internato, previo il nulla osta della competente Autorità
giudiziaria, la possibilità di effettuare una fotografia nel corso dell’anno.
Il detenuto/internato richiedente potrà essere ritratto in foto da solo o con i figli/nipoti minori
di anni 12 durante la fruizione della porzione del colloquio visivo senza il vetro divisorio.
Le foto dovranno essere effettuate dal fotografo di fiducia dell’istituto, al quale sarà inibita
qualsiasi comunicazione con i detenuti/internati.
Durante lo svolgimento del servizio, il personale addetto alla vigilanza avrà cura di evitare la
ripresa di zone dell’istituto o particolari dei locali.