Suicidi in carcere: interviene il Ministro

«E’ un’estate davvero drammatica: il Ministero e l’amministrazione penitenziaria stanno
facendo molto per migliorare complessivamente la qualità della vita e del lavoro nei
nostri istituti, ma il dramma dei 51 suicidi dall’inizio dell’anno riguarda tutti. Tutti siamo
chiamati ad occuparci di questa parte importante della nostra Repubblica».
Queste le parole pronunciate dal Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, subito dopo aver
appreso la notizia dell’ennesimo suicidio in carcere, per l’esattezza il 51° dall’inizio del
2022 (Per un’analisi più esaustiva circa la portata del fenomeno, se si vuole, si vedano, ivi, i
miei precedenti contributi «Suicidi in carcere: uno ogni cinque giorni; «Suicidi in carcere;
il Dap vara le linee guida per il contrasto al fenomeno).
A dare la notizia – con una nota – l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia
Penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci. «La scorsa notte, un
detenuto venticinquenne in custodia nel carcere di Torino (Le Vallette), si è suicidato, nel
letto coprendosi con un lenzuolo e infilando la propria testa in un sacchetto di nailon»
Per ironia della sorte la comunicazione del tragico evento arriva quando il Ministro si
accinge a visitare il carcere di Brissogne, in Valle d’Aosta. Nelle stesse ore il capo del DAP,
Carlo Renoldi, unitamente al vice Carmelo Cantone, fanno visita a Rebibbia. Così come
molti altri Provveditori si trovano in altrettanti istituti penitenziari italiani a testimonianza
della vicinanza delle istituzioni al mondo dei detenuti in questo delicato momento.
La scelta del 15 di Agosto come data di visita non è casuale. La Guardasigilli spiega «Vuole
essere il segno di una presenza in una giornata in cui tutti si fermano e prendono un
momento di riposo. Ma noi non ci dimentichiamo di questa parte importante della nostra
Repubblica. Sono qui in vacanza, e lo spunto me lo ha dato uno degli ispettori che mi
segue come scorta e mi ha detto: “Ministro, ma lei non è ancora stata nel carcere di
Brissogne…”E io mi sono detta perché non essere presente anche io per un segno di
attenzione, ma anche perché penso che questo tipo di visite fanno molto bene a chi le
compie e non soltanto  a chi le riceve».
Nei giorni scorsi il Ministro, nel presentare l’iniziativa di visita nelle carceri, era partito
proprio dal tanto drammatico quanto dilagante fenomeno dei suicidi: «Questo 2022 è reso
ancora più doloroso dal drammatico incremento dei suicidi: ciascun episodio interroga le
nostre coscienze di uomini e di operatori del sistema penitenziario su quanto è stato fatto
finora e su quanto sia ancora necessario fare».

La sensibilità di Cartabia verso la realtà carceraria non è affatto nuova, sia in qualità di
Ministro, sia (già) in veste di Giudice della Corte costituzionale. Era il 15 ottobre del 2018
quando Cartabia, allora vicepresidente della Consulta, faceva ingresso nella Casa
Circondariale di San Vittore (MI), nell’ambito del progetto «Viaggio in Italia: la Corte
costituzionale nelle carceri».
In quell’occasione il giudice della Consulta sottolineò – a più riprese – come la popolazione
carceraria facesse (o forse, meglio, dovesse) far parte della società, e non un qualche cosa
di avulso dalla stessa. In particolare degno di nota è il seguente passaggio «Mi ha sempre
colpito il fatto di questo istituto collocato nel centro di Milano…La presenza di San Vittore
nel cuore della città ha un alto valore simbolico perché ci ricorda che chi sta in carcere
non deve essere considerato in esilio, fuori dalla società. È un monito per noi che siamo
fuori».
«Bisogna aver visto», è il titolo di un articolo pubblicato nel 1948 nella Rivista Il Ponte da
Piero Calamandrei, in cui denunciava con forza la condizione disumana delle carceri
italiane. Citando Filippo Turati, scriveva: «Noi crediamo di aver abolito la tortura, e i
nostri reclusori sono essi stessi un sistema di tortura la più raffinata; noi vantiamo di
aver cancellato la pena di morte dal codice penale comune, e la pena di morte che
ammanniscono goccia a goccia le nostre galere è meno pietosa di quella che era data per
mano del carnefice; noi ci gonfiamo le gote a parlare di emenda dei colpevoli e le nostre
carceri sono fabbriche di delinquenti, o scuole di perfezionamento dei malfattori».
Ma mi chiedo, e Vi chiedo: un Paese che «vanta» un sistema carcerario che induce – quasi
fisiologicamente e sistematicamente al suicidio – non è forse un Paese che, sia pure sotto
mentite spoglie, condanna ancora alla pena di morte?
A più di settant’anni di distanza dalla citata pubblicazione – alla luce del drammatico e
sempre più dilagante fenomeno dei suicidi in carcere – il tema della disumanità nell’ambito
degli istituti penitenziari e della inadeguatezza di questi ultimi ad inverare il dettato
costituzionale della finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3°, Cost.) – intesa come
solidaristica offerta di opportunità – non cessa allora di essere attuale.

A cura di Giulia Vagli

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