La procedura per l’irrogazione della sanzione disciplinare, in osservanza del diritto di difesa, deve contenere non solo la descrizione del fatto addebitato e l’indicazione delle norme di legge violate, ma anche l’avviso della data di convocazione del Consiglio di Disciplina come previsto dall’art. 81, co. 4, d.P.R. n. 230/2000, nonché l’invito al detenuto di esporre le proprie discolpe.
In tema di sanzioni disciplinari ai detenuti, secondo la giurisprudenza di legittimità, “la battitura collettiva dei blindati delle camere di pernottamento, adottata dai detenuti quale forma di protesta, può integrare l’illecito disciplinare di cui all’art. 77, comma 1, n. 4, reg. es . ord. pen., come comportamento molesto nei confronti della comunità penitenziaria, quando, tenuto conto delle ragioni che l’hanno determinata, per durata e frequenza supera la soglia fisiologica di ordinaria tollerabilità”.
Nel caso attenzionato dalla Suprema Corte di Cassazione, il Tribunale di Sorveglianza non aveva correttamente applicato il predetto principio di diritto. Il Tribunale, infatti, dopo aver rilevato che la battitura del “blindo” da parte del detenuto si era protratta per circa venti minuti, così inducendo alcuni compagni di detenzione a protestare nei suoi confronti per il disturbo, il Tribunale di Sorveglianza aveva argomentato nel senso che tale battitura “non ha creato altro effetto e altro fastidio se non quello assolutamente temporaneo del rumore tipico causato dalla battitura di un oggetto sul metallo”, aggiungendo che la protesta degli altri detenuti “può ritenersi proprio espressione di quel mero fastidio di cui si è detto, ma non certo reazione a un comportamento sentito come molesto e turbativo della comunità carceraria”.
Secondo gli Ermellini, questa motivazione non era adeguata, né congrua, poiché, valutando la riconducibilità del fatto alla fattispecie disciplinare tipizzata di cui all’art. 77, co. 1, n. 4 d.P.R. n. 230/2000, aveva valorizzato la circostanza che la protesta posta in essere dal detenuto non avesse arrecato “turbativa alla serenità della vita comunitaria all’interno del carcere” e che la stessa non fosse degenerata, assumendo “i caratteri di una manifestazione pacifica del proprio dissenso nei confronti di una condotta posta in essere dall’Amministrazione Penitenziaria”.
Pertanto, secondo la Corte, convenendo con quanto esposto dal Procuratore generale, il Tribunale di Sorveglianza aveva attribuito al concetto di molestia contenuti ulteriori non desumibili dalla norma – né dal dato letterale, né dalla relativa interpretazione giurisprudenziale – nel senso di superamento della ordinaria soglia di tollerabilità.
Qui il testo della sentenza.
A cura di Beatrice Paoletti