Si è tenuta ieri, 17 febbraio, l’audizione della Guardasigilli, Marta Cartabia, in Commissione infanzia e adolescenza in merito all’attuazione della disciplina dell’esecuzione della pena nei confronti dei condannati minorenni, oltre che sulla situazione delle detenute madri.
La ministra ha introdotto il tema affermando che I protagonisti delle nostre considerazioni sono i minorenni, ma gli interrogati siamo anzitutto noi, la generazione che li ha preceduti. I fatti che portano un minorenne a conoscere il carcere possono essere anche gravi e non vanno sottaciuti, né giustificati. Ma quando dentro il carcere ci sono minorenni, le domande si fanno più brucianti.
Le sollecitazioni a livello internazionale e uno sguardo più attento e maturo agli articoli 27 e 31 della Costituzione hanno dato una spinta decisiva, approdata nell’ordinamento penitenziario minorile del 2018, verso l’idea secondo cui, quando ci sono di mezzo i minori, il carcere deve essere veramente l’extrema ratio e devono sempre essere privilegiati il ricorso alle misure alternative e favoriti i trattamenti penitenziari a misura di minore. I ragazzi che commettono un reato – sottolinea la ministra Cartabia – vanno aiutati innanzitutto a trovare una strada diversa e gli strumenti messi a disposizione dal legislatore del 2018 sono davvero tanti: la giustizia riparativa, i percorsi di mediazione, una grande insistenza sull’istruzione, la formazione professionale, l’educazione alla cittadinanza attiva e responsabile e la proposta di attività sociali e culturali. Ancora, questo sforzo di offrire un’alternativa ai giovani si può realizzare soltanto con la partecipazione attiva di un’intera comunità territoriale, a partire dalla famiglia laddove possibile ma anche della comunità circostante. Non è, infatti, un caso l’utilizzo del termine “misure penali di comunità” da parte del testo di legge.
La ministra fornisce, poi, una fotografia della situazione, rilevando che al 31 dicembre dello scorso anno sono stati quasi 21 mila i minorenni e giovani adulti presi in carico dagli Uffici di Servizio Sociale, 20.748 per la precisione. La maggior parte dei ragazzi è stata sottoposta a misure che vengono eseguite nell’area penale esterna e non in carcere. Negli IPM, tuttavia, al dicembre 2021 si sono registrati 815 ingressi. Sempre lo scorso anno sono stati 561 gli ingressi dei giovani nei centri di prima accoglienza e 1480 i collocamenti nelle comunità, un numero quest’ultimo significativo se si considera la complessità del lavoro svolto da tali strutture chiamate a realizzare un lavoro complesso di individualizzazione del singolo percorso che deve tenere conto di fragilità sociali e, sempre più frequentemente, anche di natura psichica.
Si rimarca, poi, che la prevalenza dei reati commessi dai minori sono quelli contro il patrimonio, 1.007 casi nell’ultimo anno e, in particolare, quelli di furto e rapina. Frequenti sono anche le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti con 208 casi nel 2021, mentre tra i reati contro la persona prevalgono le lesioni personali volontarie con un numero pari a 177 casi nell’ultimo anno.
La ministra segnala che Questa fotografia fornisce un dato preoccupante: nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, tenutasi qualche settimana fa, varie Corti d’Appello segnalavano un crescente ricorso alla violenza da parte dei minori e alla sopraffazione fra di loro nonché il rischio in certe aree del Paese che ragazzi annoiati, senza prospettive di vita, vengano intercettati dalla criminalità organizzata.
Un accenno viene, poi, fatto all’importanza della tutela dell’affettività cui, assieme all’educazione e al lavoro, deve essere prestata particolare attenzione. Vanno, dunque, favoriti i colloqui non brevi ma allargati, distesi nel tempo, in quanto aspetto importante del percorso di crescita dei ragazzi la preservazione e coltivazione dei rapporti cui sono legati.
Non può sottacere, inoltre, la rilevanza dell’istituto della messa alla prova. Quest’ultimo è funzionale non solo a prevenire l’esito della condanna, per evitare un marchio nella vita del ragazzo che possa segnare il suo percorso successivo, ma si fonda sulla necessità di un programma individualizzato che consenta lui una riflessione ed una presa di coscienza del proprio percorso essenziale per intraprendere una strada diversa, anche con l’aiuto della famiglia. L’importanza dello strumento della probation emerge dai dati: l’83,55 per cento dei procedimenti definiti con l’istituto in parola hanno esito positivo. Si tratta, dunque, di una misura davvero efficace per contrastare la devianza minorile.
Così la ministra ha concluso: Crediamoci nei ragazzi, diamo loro delle possibilità, diamo loro delle proposte, non sono ragazzi destinati a rimanere per sempre lunga una china che magari hanno intrapreso. Questo istituto e questi numeri ci dicono che, laddove sono state fatte delle proposte significative, dove i ragazzi sono stati affiancati da adulti, che hanno saputo essere adulti al loro fianco, la possibilità di una strada diversa c’è .
Si rinvia al video dell’audizione.
A cura di Paola Bonora