Cass. Pen., Sez. I, sent. 8 giugno 2021, n. 36865, Presidente Tardio, Relatore Centofanti
Diritto alla sessualità e riviste per adulti: la Cassazione impedisce ai detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41 bis o.p. di abbonarsi a riviste per soli adulti.
La questione posta all’attenzione della Corte di Cassazione concerne la richiesta avanzata da un detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis o.p. alla direzione del carcere ed avente ad oggetto l’autorizzazione ad acquistare riviste pornografiche reperibili sul mercato.
Orbene, a fronte del diniego dell’amministrazione penitenziaria, il Tribunale di sorveglianza di Roma accoglie il reclamo proposto dal prevenuto ai sensi dell’art. 35 bis, comma 4, o.p.
Nel merito, viene rilevato che la pretesa del detenuto al complesso tema dell’affettività in carcere e, nello specifico, al diritto alla sessualità rappresenta non un mero interesse, bensì un diritto inviolabile tutelato dall’art. 2 Costituzione. Inoltre, a parere del Collegio, il diniego dell’amministrazione appare né congruo né proporzionato, mancando un nesso logico e teleologico tra il diritto sessuale del condannato ad acquistare la rivista pornografica e la finalità, perseguita dall’art. 41 bis o.p., di tutela dell’ordine interno e della sicurezza esterna. Difatti, a parere del giudicante, tali riviste potrebbero semplicemente essere sottoposte ad un visto di controllo onde evitare che per il loro tramite si instaurino comunicazioni tra il detenuto e l’esterno.
Tuttavia, a fronte di tale decisione, l’amministrazione penitenziaria ha proposto ricorso innanzi alla Suprema Corte, la quale, in incipit, ricorda che le limitazioni previste dall’art. 41 bis o.p. si giustificano poiché “libri, giornali e stampa in genere sono molto spesso usati dai ristretti quali veicoli per comunicare illecitamente con l’esterno, ricevendo o inviando messaggi in codice che, da un lato, non interrompono (ma possono anche alimentare) le comunicazioni di tipo criminale, dall’altro, costituiscono concreti pericoli per l’ordine interno degli istituti, finendo per vanificare la funzione di base del regime carcerario speciale”.
In questa prospettiva, l’amministrazione penitenziaria, nella circolare dipartimentale 2 ottobre 2017 ha dettato disposizioni attuative di tale precetto generale, prevedendo che qualsiasi tipo di stampa autorizzata può essere acquistata dai detenuti in regime speciale soltanto per il tramite dell’impresa di mantenimento o di personale delegato dalla Direzione. Consequenzialmente, viene vietata la ricezione di libri e riviste provenienti dall’esterno – in particolare dai familiari – sia a mezzo di pacco postale che tramite la consegna in occasione dei colloqui.
Ebbene, a parere della Corte di Cassazione tali prescrizioni non pregiudicano il diritto del detenuto ad informarsi e a studiare, in quanto non precludono la ricezione di testi di lettura, bensì la indirizzano verso canali sicuri – quali l’impresa di mantenimento e il personale delegato – al fine di impedirne una loro elusiva utilizzazione.
Per quanto concerne il caso de quo, la Suprema Corte, premesso che non ogni tipo di pubblicazione debba necessariamente fare il proprio ingresso in carcere, specifica altresì che “per quel che concerne le riviste pornografiche, dal provvedimento impugnato si evince che l’Amministrazione penitenziaria ebbe a rappresentare, dinanzi alla magistratura di sorveglianza, che l’impresa di mantenimento non poteva garantire il loro approvvigionamento, per la difficile reperibilità del prodotto sul mercato delle edizioni cartacee, dovuto al sopravvento delle tecnologie digitali, e per l’assenza di significativa domanda da parte della popolazione detenuta”.
Inoltre, alla soluzione di introdurre in istituto tali riviste per il tramite di abbonamento vi era un ulteriore ostacolo rappresentato dalla concreta possibilità e facilità che al loro interno trovassero spazio annunci e messaggi privati, dietro i quali abilmente nascondere massaggi criptici di non facile decifrazione.
Orbene, rispetto a tale profilo, la Corte non condivide l’alternativa indicata dal Tribunale di sorveglianza di Roma costituita dall’introduzione del visto di controllo. Invero, mentre in materia di corrispondenza l’art. 41 bis, comma 2 quater, o.p. prevede tale visto espressamente, affidando comunque all’Autorità giudiziaria la relativa decisione, “per quel che riguarda la ricezione della stampa il medesimo comma 2 quater, alla lettera c), consente limitazioni più penetranti e ne rimette l’adozione all’Autorità amministrativa, non potendo il giudice sostituirsi direttamente a tale Autorità nelle sue discrezionali valutazioni, salvo il vaglio di razionalità e congruenza delle scelte da essa operate. L’Amministrazione penitenziaria aveva illustrato la scarsa funzionalità, nonché l’onerosità, di meccanismi che necessariamente prevedessero la sottoposizione a censura del materiale pornografico facente ingresso in istituto”.
Infine, nel caso de quo, a parere della Suprema Corte non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 2 Costituzione in materia di diritto alla sessualità, poiché l’autoerotismo – anche a volerlo considerare un aspetto della sessualità nella sua accezione più lata – non viene precluso dallo stato detentivo. Difatti, la fruizione di materiale pornografico rappresenta uno dei mezzi possibili per la sua soddisfazione, ma non ne costituisce un presupposto ineludibile. Consequenzialmente, non pare ravvisarsi alcuna violazione di diritti inviolabili della persona.
In conclusione, è legittimo il provvedimento con cui l’Amministrazione penitenziaria respinge la richiesta del detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis o.p. di ricevere in abbonamento riviste per soli adulti, in quanto tale “inibizione (…) risponde a finalità di ordine e sicurezza pubblica non arbitrariamente perseguite, né il divieto frustra, sotto l’aspetto considerato, alcun diritto fondamentale di rilevanza costituzionale, venendo semmai ad incidere solo sulle concrete modalità di esercizio del diritto stesso”.
Qui il testo della sentenza.
A cura di Arianna Stefani