Il progetto di intervento educativo, il fil rouge del nuovo ordinamento penitenziario minorile

L’attuale disciplina di ordinamento penitenziario minorile, introdotta con il d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, ha valorizzato le istanze educative, «assolutamente preminenti nell’esecuzione penale minorile» (cfr. Corte Cost. n. 403/1997), attraverso l’introduzione delle c.d. misure penali di comunità. Nell’ottica della detenzione come extrema ratio, la normativa prevede che le misure di comunità siano concesse se idonee a favorire l’evoluzione positiva della personalità del minorenne ed un suo proficuo percorso, sempre che non sussista il pericolo di fuga e di reiterazione della condotta deviante.

La concessione di tali misure, in particolare, dipende dalla valutazione operata dal Tribunale di Sorveglianza della proposta di intervento educativo predisposta dall’ufficio di servizio sociale per i minorenni (U.S.S.M.). È proprio tale programma di intervento, richiesto per l’accesso ad ogni misura ai sensi dell’art. 2, c. 2, d.lgs. 121/2018, a costituire il tratto qualificante delle misure penali di comunità, distinguendole dalle misure alternative previste per i condannati adulti, ed è su tale aspetto che si sono concentrati tre distinti provvedimenti del Tribunale per i Minorenni di Catania, in funzione di Tribunale di Sorveglianza.

Con un primo provvedimento, a fronte dell’istanza di un soggetto infraventicinquenne di accesso alle misure dell’affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, della detenzione domiciliare, il Tribunale ha deciso il rigetto dell’istanza, in quanto «carente dell’indicazione di un progetto individualizzato volto alla rieducazione o risocializzazione del condannato». Il difensore, in particolare, si limitava a menzionare la relazione sentimentale intrattenuta dal ragazzo con una coetanea, in attesa del secondo figlio, né un sufficiente progetto era stato predisposto dall’U.S.S.M., che aveva dato atto della sola necessità per il minorenne di un supporto psicologico. A fronte di tali mancanze e alla luce dei gravi reati commessi da libero dal giovane, che aveva continuato a tenere condotte disfunzionali anche durante il periodo detentivo, con partecipazione attiva a sommosse e disordini, che ne avevano determinato più volte il trasferimento per motivi di sicurezza, non si è ritenuta concedibile alcuna misura extramuraria. Seppur vero che di recente egli si fosse calmato, non tenendo più comportamenti simili, tale circostanza non era sufficiente a ritenere che egli avesse intrapreso un serio percorso di crescita.

In un secondo caso, invece, il Tribunale ha concluso per l’accoglimento della richiesta con applicazione al condannato minorenne della misura dell’affidamento in prova. Il ragazzo, infatti, aveva commesso un unico fatto di reato cinque anni prima, ovvero un’ipotesi di maltrattamenti in famiglia in concorso con la madre. In mancanza di altre segnalazioni a suo carico e presumendo un minimo condizionamento della madre, sua unica figura genitoriale e punto di riferimento, nella realizzazione della condotta delittuosa, il Tribunale non ha potuto che valorizzare gli elementi di segno positivo riscontrabili nella personalità del giovane e puntualmente rilevati all’interno del progetto di intervento educativo. Nello specifico, l’impegno in un’attività lavorativa e l’inizio di una collaborazione attiva con l’U.S.S.M. hanno convinto il Tribunale, alla luce dei paradigmi normativi di riferimento, a concedere al ragazzo la misura, così da responsabilizzarlo e stimolarlo verso un fruttuoso percorso di crescita. 

Infine, l’importanza di un solido progetto di intervento educativo trova conforto in un ultimo provvedimento, ovvero un’ordinanza istruttoria emessa dal T.M. di Catania, a fronte di un progetto scarsamente motivato relativo alla richiesta di accesso ad una misura penale di comunità. In particolare, il Tribunale ha richiesto all’U.S.S.M. competente di far pervenire, prima dell’udienza di rinvio, un articolato programma di intervento educativo, rilevando che quello ricevuto in vista dell’udienza di cui si discute presentava una profonda incertezza sull’effettiva situazione del ragazzo. Dagli atti emergeva la titolarità da parte del ragazzo di un’impresa edile, un campo in cui egli non aveva maturato alcuna esperienza, avendo lavorato in passato in altri settori. Ancora, rilevava la partecipazione del ragazzo ad un centro di aggregazione sito nel quartiere di residenza, ma anche di tale dato non venivano fornite precisazioni.

È, dunque, chiaro che siano le istanze educative, che trovano concretizzazione nel progetto di intervento educativo, ad essere la chiave di lettura del nuovo ordinamento penitenziario minorile, sulla scia del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448. È proprio tale programma a costituire la peculiarità delle misure penali di comunità, che, nell’ottica di favorire l’evoluzione positiva del minore, devono conciliare le esigenze educative e le esigenze di sicurezza sottese all’esecuzione della pena. Si tratta di un programma calibrato sulle esigenze del singolo, ampio e multidisciplinare, che deve essere portato avanti attivamente dal giovane con il coinvolgimento di tutta la comunità.

Del resto, quanto affermato trova sostegno anche nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 231/2021, che ha dichiarato legittima la previsione di limiti massimi di pena per l’accesso alle misure in commento. Secondo il giudice delle leggi, la disciplina in parola, oltre ad essere più favorevole rispetto alla disciplina di Ordinamento Penitenziario, conformemente a quanto richiesto dalla legge delega 23 giugno 2017, n. 103, non configura un automatismo, non essendo legata né al titolo astratto di reato né ai limiti edittali di pena (cfr., per l’illegittimità costituzionale degli automatismi, Corte Cost. n. 263/2019) ma alla durata del residuo di pena da espiare, così valorizzando l’evoluzione del percorso educativo del minore. Nonostante le criticità di tale conclusione, messe brillantemente in evidenza dalla prof.ssa Lina Caraceni in un recente commento, ciò che qui interessa è l’affermazione da parte della Corte della circostanza che la previsione di limiti di pena “più favorevoli” sia rafforzata, nel microcosmo dell’esecuzione minorile, proprio dalla valutazione giudiziale del programma trattamentale e, di conseguenza, dell’idoneità e della meritevolezza delle misure extra moenia nel caso specifico, in piena conformità con gli agli artt. 27, c. 3, e 31, c. 2, Cost.

Di seguito, le ordinanze di rigetto e di accoglimento dell’istanza di accesso alle misure penali di comunità, nonché l’ordinanza istruttoria relativa alla necessaria integrazione del programma di intervento educativo.

 

A cura di Paola Bonora

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