Cass. Pen. Sez. I., sent. 13 ottobre 2021 (ud. 24.6.2021), n. 37298.
Inammissibile il ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza a seguito del reclamo ex art. 14-ter ord. pen. sui provvedimenti dell’amministrazione penitenziaria non attinenti a diritti soggettivi del condannato
Con la sentenza n. 37298 del 2021, la Corte di Cassazione, Sez. I, ha ribadito come l’assetto dell’amministrazione penitenziaria non sia sottoposto a rigidi criteri di comportamento, ma goda di apprezzabile discrezionalità, influenzato da quelle che sono le ragioni trattamentali dei detenuti nonché di ordine e sicurezza interna, elementi, questi, tutti indirizzati e cristallizzati dalle normative penitenziarie, in particolar modo dalla Legge del 26 luglio 1975, n. 354.
Tale declaratoria prende avvio a seguito del rigetto di un reclamo, posto avanti al Magistrato di sorveglianza di Cagliari, avente ad oggetto la richiesta di trasferimento del detenuto M.A. dalla casa “circondariale di Cagliari Uta”, ove lo stesso si trovava a seguito di revoca dell’affidamento in prova al sevizio sociale, presso un’altra struttura circondariale all’aperto, presente sul territorio sardo, ove fosse possibile per il detenuto svolge anche lavori agricoli; la motivazione data a fondamento del rigetto dell’amministrazione penitenziaria, si basa sulla necessità dell’amministrazione stessa, di effettuare un approfondimento della personalità e delle attitudini del richiedente, considerato anche il breve arco temporale di permanenza del detenuto presso la casa circondariale di Cagliari Uta.
Gli Ermellini, nel caso di specie hanno dichiarato “il ricorso inammissibile” per i motivi che verranno nel proseguo illustrati:
Il Magistrato di Sorveglia di Cagliari si è pronunciato a seguito di un “reclamo generico”1, tale defezione sta ad indicare un reclamo che non ha ad oggetto i diritti soggettivi del detenuto, ma che si basa su quelle che sono le concrete modalità di esercizio delle funzioni affidate all’Amministrazione Penitenziaria. Come già ben noto, la materia dei trasferimenti dei detenuti è regolata dall’art. 43 Ord. Pen2 il quale al comma 2, stabilisce che essi sono comunque disposti nel rispetto del principio di territorialità della pena, tale principio presuppone che la destinazione dei ristretti ad un istituto penitenziario, sia quanto più vicino possibile alla stabile dimora della loro famiglia o, se individuabile, al loro centro di riferimento sociale, al fine di poter mantenere rapporti significativi con li stessi, salvi specifici motivi contrari. Il motivo allegato al ricorso dell’istante, fa invece espresso riferimento al comma 3 dell’art 43 Ord., secondo cui il trasferimento può essere chiesto al detenuto, per ragioni familiari, di studio, formazione, lavoro e salute, in tale occasione l’Amministrazione è chiamata a pronunciarsi entro sessanta giorni. Vale comunque l’ulteriore regola, secondo cui la destinazione dei detenuti al singolo istituto, così come il loro raggruppamento nelle sezioni ad esso interne, deve tener conto dell’esigenza di procedere a trattamenti rieducativi comuni e di evitare influenze nocive reciproche. Come possiamo facilmente dedurre da quello che è l’assetto disciplinare sin qui esposto, la disciplina in materia di trasferimenti è diretta a regolare anche l’azione dell’Amministrazione stessa, in tali ambiti non si riscontrano rigidi criteri che coinvolgono la sua organizzazione, ma anzi si rileva un discrezionale apprezzamento di profili di natura trattamentale, nonché di ordine e sicurezza interni.
La Cassazione, quindi, a seguito della decisione dell’amministrazione, non ha ritenuto configurabile alcuna lesione dei diritti del detenuto, in quanto il soggetto comunque si trova in una condizione penitenziaria corrispondente alle esigenze di pena che lo stesso è chiamato ed espiare, ed il solo fatto che tale struttura intramuraria non risponda appieno alle sue aspirazioni lavorative e che quindi il trattamento scelto non sia, sotto questo profilo, di suo gradimento; sicuramente tale assunto, non può integrare alcuna lesione del diritto al lavoro del detenuto o del suo programma rieducativo.
Per questi motivi la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.
Qui il testo della sentenza.
A cura di Alessia Sanchez Quiroz
1Giova ricordare che: i detenuti possono rivolgere istanze e reclami, anche in busta chiusa, al direttore dell’istituto, al magistrato di sorveglianza, alle autorità in visita all’istituto, al presidente della Giunta regionale, al Presidente della Repubblica. Inoltre, i reclami possono presentarsi contro specifici provvedimenti della direzione dell’istituto di pena ( es contro i provvedimenti riguardanti il lavoro all’interno del carcere e gli addebiti disciplinari, oppure contro i provvedimenti riguardanti il regime di sorveglianza particolare in carcere). Tristemente noti, sono i reclami contro le inumane condizioni di detenzione, in particolar modo a seguito dell’introduzione nell’Ordinamento Penitenziario l’articolo 35 ter, sancito della sentenza “Torreggiani” emessa dalla Corte europea di Strasburgo, che disciplina i rimedi risarcitori di cui possono beneficiare i detenuti in conseguenza della violazione dell’art. 3 della C.E.D.U.
2Art. 43 Legge sull’ordinamento penitenziario DIMISSIONE: La dimissione dei detenuti e degli internati è eseguita senza indugio dalla direzione dell’istituto in base ad ordine scritto della competente autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza. Il direttore dell’istituto dà notizia della prevista dimissione, almeno tre mesi prima, al consiglio di aiuto sociale e al centro di servizio sociale del luogo in cui ha sede l’istituto ed a quelli del luogo dove il soggetto intende stabilire la sua residenza, comunicando tutti i dati necessari per gli opportuni interventi assistenziali. Nel caso in cui il momento della dimissione non possa essere previsto tre mesi prima, il direttore dà le prescritte notizie non appena viene a conoscenza della relativa decisione. Oltre a quanto stabilito da specifiche disposizioni di legge, il direttore informa anticipatamente il magistrato di sorveglianza, il questore e l’ufficio di polizia territorialmente competente di ogni dimissione anche temporanea dall’istituto. Il consiglio di disciplina dell’istituto, all’atto della dimissione o successivamente, rilascia al soggetto, che lo richieda, un attestato con l’eventuale qualificazione professionale conseguita e notizie obiettive circa la condotta tenuta. I soggetti, che ne sono privi, vengono provvisti di un corredo di vestiario civile. I detenuti e gli internati sono dimessi con documenti di identità validi, ove sussistano i presupposti per il rilascio. L’amministrazione penitenziaria a tal fine si avvale della collaborazione degli enti locali.