T. sorveglianza di Roma – 21/10/20 – affidamento in prova

Nell’ordinanza in oggetto, datata 21 ottobre 2020, il Tribunale di sorveglianza di Roma si esprime in merito ad una richiesta di affidamento in prova al servizio sociale previo riconoscimento dell’inesigibilità della collaborazione ex art. 58 ter legge o.p..

Il Tribunale, veniva nuovamente investito della questione in oggetto, a seguito di giudizio di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione in data 26.6.20, avente ad oggetto una precedente ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma nell’ambito della quale, pur venendo riconosciuta l’inesigibilità della collaborazione da parte del ricorrente, vi era stato il rigetto della richiesta di accesso alla misura alternativa presentata contestualmente dallo stesso.

Il ricorrente, infatti, condannato per i reati di cui agli articoli 110 – 609 octies c.p., ricompresi nel catalogo di cui al primo comma dell’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario, aveva richiesto l’accesso alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale previa valutazione della impossibilità\ inesigibilità della condotta di collaborazione ai sensi dell’articolo 58 ter o.p., precisando di aver intrapreso nell’ambito carcerario un percorso trattamentale proficuo e di poter disporre di un solido tessuto famigliare e abitativo, nonché di un lavoro qualificante.

Il Tribunale di sorveglianza di Roma, in prima battuta, con ordinanza datata 16.1.20, accertando che il ricorrente non aveva effettivamente “concreti e utili spazi di collaborazione per essere stati accertati i fatti”, aveva accolto la domanda nella parte inerente la collaborazione impossibile\inesigibile, rigettandola,tuttavia, in relazione alla richiesta di affidamento in prova al servizio sociale.

Il Tribunale, infatti, pur sottolineando che il condannato non aveva altri precedenti penali, ne carichi pendenti, e pur dando atto del buon percorso intramurario che aveva condotto durante il periodo di detenzione (caratterizzato tra l’altro da un consistente impegno di studio, culminato nel conseguimento del diploma superiore di tecnico dei servizi socio-sanitario), nonché del suo inserimento all’interno di un “tessuto familiare sano e normoinserito”, della “concreta e positiva prospettiva di lavoro” che lo stesso aveva la possibilità di esperire presso l’azienda sanitaria gestita dal fratello, e dell’avvenuta corresponsione del risarcimento del danno a favore della vittima del reato di cui era stato giudicato responsabile, decideva comunque di negare al ricorrente l’accesso a tale misura.

La motivazione di tale diniego appoggiava sul fatto che all’interno della relazione di sintesi, ed in particolare nella parte di essa relativa al profilo  psicologico, emergeva come il reo non avesse mai condotto un percorso di revisione critica del reato che gli era stato imputato attraverso l’ammissione della propria condotta delittuosa; a parere del tribunale, insomma, la mancata assunzione in capo al condannato della responsabilità rispetto al fatto commesso, e quindi la sua persistente proclamazione di innocenza, ostacolava un percorso di revisione critica rispetto ai fatti delittuosi da parte dello stesso,“indispensabile per ritenere superata la prospettiva deviante” e per l’accesso alla misura.

Lo stesso risarcimento del danno era stato ritenuto come mero adempimento di un obbligo discendente dalla pronuncia di condanna, slegato da qualunque forma di considerazione per la vittima del reato e di pentimento.

In senso negativo deponevano anche la stessa relazione di sintesi e il giudizio del GOT, che non si esprimevano affatto in favore dell’accoglimento della misura alternativa, bensì, più limitatamente in favore della sperimentazione dei permessi premio, funzionali proprio a verificare l’affidabilità del soggetto.

Alla luce di tutte queste argomentazioni il Tribunale adito aveva rigettato la domanda di ammissione alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale.

La corte di Cassazione, tuttavia, come riportato in apertura, annullava tale decisione, richiamando a supporto dalla pronuncia il proprio consolidato indirizzo giurisprudenziale in punto di conseguenze della mancata ammissione di responsabilità rispetto all’accesso alle misure alternative, che invece affermava il diritto del condannato di non ammettere le proprie responsabilità.

Come affermato in tale sede, infatti, “il fuoco della valutazione ai fini di interesse (cioè in materia di concessione di misure alternative) deve essere agganciato alla valutazione circa l’evoluzione della personalità del reo successivamente al fatto, nella prospettiva del reinserimento sociale”, e ricordando invece come “la completa revisione critica del passato dovesse essere il punto di arrivo del percorso risocializzante e non la premessa per l’accesso alla misura alternativa, la cui finalità era, appunto, quella del completamento di tale percorso all’esito di essa”.

L’assunzione di responsabilità da parte del reo, quindi, nella prospettiva della Corte, e a differenza della posizione in merito assunta dal Tribunale di Sorveglianza, non si presentava come requisito indispensabile per ottenere l’accesso, nel caso specifico, alla misura dell’affidamento in prova, non costituendone un presupposto applicativo, quanto piuttosto l’obiettivo finalistico.

L’ordinanza  del TS sarebbe inoltre caratterizzata da un percorso motivazionale illogico, nella parte in cui riconosceva come spiegazione della mancata ammissione di responsabilità la sussistenza di un meccanismo di autodifesa, ritenendo tuttavia, al contempo, che la stessa assenza di ammissione evidenziasse un pericolo di recidiva, nonostante si trattasse di un soggetto “monoreato e con un buon percorso complessivo.

Alla luce di tale percorso argomentativo la Corte disponeva l’annullamento dell’ordinanza in oggetto assegnando al Tribunale il compito di riesaminare la domanda precedentemente presentata dal ricorrente.

Stante il perimetro decisionale appena esplicitato il Tribunale di sorveglianza in sede di rinvio accoglieva la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale presentata dal ricorrente.

Ad avviso del collegio, infatti, l’ammissione alla misura invocata (ma in generale quando si parla di misure alternative) deve basarsi sempre su un giudizio individualizzato, caso per caso e personalizzato, che potrebbe sfociare, tanto in un possibile accoglimento rispetto a soggetti che non abbiano ammesso la propria responsabilità, quanto in un eventuale rigetto basato sulla stessa mancanza di revisione critica, laddove il complesso degli elementi in valutazione escluda che il condannato abbia  quanto meno avviato una rielaborazione; nel caso specifico, gli elementi raccolti nel corso del giudizio sono ritenuti sufficienti ad ammettere il reo alla misura da lui richiesta : risarcimento del danno, un buon percorso intramurario, l’avvenuta sperimentazione di affidabilità dello stesso mediante la fruizione di permessi premio, un fine pena ormai molto contenuto, nonché la sussistenza di concrete opportunità lavorative esterne.

Tali circostanze di fatto sono valutate nel caso di specie come idonee a ritenere plausibile un avviamento, comunque ritenuto necessario, di un percorso di revisione critica dei fatti e delle proprie responsabilità; il percorso intramurario del condannato, sulla base delle relazioni di sintesi, è stato “costantemente coerente e pronto ad accogliere tutte le opportunità risocializzanti e di crescita”, dimostrando lo stesso “una buona capacità di impegnarsi per migliorarsi con la formazione, una buona capacità di impegnarsi sul piano della relazione con gli altri mettendosi in gioco senza egoismi, una certa capacità di offrirsi con franchezza al rapporto con gli educatori e la psicologa, oltre che un taglio comportamentale sempre corretto in modo non formale”nonché notevoli “capacità personali e intellettive”; importante sarebbe anche la presenza di un contesto famigliare sano e la presenza di una prospettiva lavorativa seria, qualificante e idonea rispetto agli studi effettuati dal condannato.

Vi sarebbero, quindi, a parere del Tribunale, tutti i presupposti “ per una ragionata scommessa sulla possibilità di una concreta risocializzazione” e, quindi, per l’accoglimento dell’istanza di affidamento in prova al servizio sociale.

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