La Corte “salva” la preclusione triennale di benefici dopo la revoca di una misura alternativa

La Corte, con sentenza n. 173 del 2021, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto. In particolare, viene contestata la legittimità costituzionale del divieto triennale di concessione di affidamento in prova quando sia occorso un provvedimento di revoca della precedente misura alternativa, ai sensi dell’art. 47, co. 11, dell’art. 47 ter co. 6 o dell’art. 51 co. 1, della medesima legge.

Il giudice a quo ritiene che la “fissità dell’effetto preclusivo triennale conseguente alla revoca della misura alternativa” non permetterebbe di contemperare e “ragionevolmente graduare” le conseguenze e gli effetti del comportamento a base della stessa revoca, la cui gravità andrebbe sondata e analizzata anche “ai fini della prognosi relativa alla futura condotta del condannato”. La stessa rigidità nella durata non consentirebbe di “tenere conto dell’osservazione intramuraria medio tempore effettuata”, rischiando, inoltre, per la lunghezza temporale di tale preclusione, di impedire la concessione di benefici penitenziari per la restante parte della pena, vanificando così il percorso risocializzante del condannato e comprimendo la funzione rieducativa della pena sancita all’art. 27 della Carta costituzionale.

La Corte, nondimeno, pur ritenendo innegabilmente severa e “opinabile dal punto di vista delle scelte di politica penitenziaria” siffatta preclusione, dichiara come questa costituisca espressione della discrezionalità legislativa e che non possa riconoscersi “in contrasto con il principio costituzionale di finalizzazione rieducativa della pena” e non possa ritenersi “irragionevole al punto da integrare una lesione ex art. 3 Cost”.

Qui il testo della sentenza.

 

Giulia Podestà

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